Roberto Ferrero
Ogni volta che oriento lo sguardo su una scena provo sentimento per quel luogo, empatia per quel soggetto. So che lì c'è bellezza dell'anima. Bisogna solo rivelarla, ma non sempre ci riesco
Tutte le opere di Roberto Ferrero
Le opere recenti • 1 opera
Guarda tuttoAnima(li) • 38 opere
Guarda tuttoLuce da ovest • 4 opere
Guarda tuttoPélerinage des Gitans • 11 opere
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Il Pellegrinaggio dei Gitani, a Saintes Maries de la Mer, in Camargue, si svolge da diversi secoli nel[...]
Il Pellegrinaggio dei Gitani, a Saintes Maries de la Mer, in Camargue, si svolge da diversi secoli nel periodo del mese di Maggio. La festa per le Saintes Maries, Maria Salomé, Maria Jacobé, Maria Maddalena e Santa Sara, Sara la Nera, raduna migliaia di Gitani di comunità distinte ( Gitani, Rom, Manouche, Tsigane ) che appartengono a clan diversi, che vengono qui da tutta Europa per pregare e celebrare le Marie e la patrona Santa Sara. La festa comprende momenti di spettacolo, musiche gitane, balli, corride ed è un occasione per riunioni di famiglia, battesimi e matrimoni. Per loro è il momento più religioso dell'anno.
Paesaggio Mediterraneo • 80 opere
Guarda tuttoGiardini della natura • 7 opere
Guarda tuttoFare la Fontina • 9 opere
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Nella penombra della stalla il tempo è sospeso, non perché ci si trovi fuori dalla storia, tutt'altro:[...]
Nella penombra della stalla il tempo è sospeso, non perché ci si trovi fuori dalla storia, tutt'altro: dentro a questi spazi tiepidi la storia continua a macinare tradizione e modernità, novità e nostalgia, fatica antica e fatica nuova...no, non è per questo. E' più per una sensazione palpabile di piacevole calma, quella sorta di atarassìa che coglie molti di noi quando ci troviamo in presenza di alcuni maestosi animali. Le mucche valdostane osservate nelle loro stalle isolate sugli alpeggi, a contatto con i pastori taciturni che ripetono gli stessi gesti pacati ogni giorno, trasmettono un senso di pace e di protezione. Eppure il lavoro della montagna, è inutile sottolinearlo, piega la schiena e rende gli uomini e le donne duri e saggi: non è facile, non è per tutti.
In Valle d'Aosta, come in molte altre vallate del nord-ovest dell'Italia, i mestieri del pastore e del casaro costituiscono ancora una nervatura robusta della vita sociale, culturale ed economica, eppure spesso il loro ruolo risulta sofferente e marginale a causa di un'economia che fa fatica a comprenderli e a sostenerli veramente, al di là di finanziamenti spesso poco mirati e, in fondo, strutturalmente deboli. Così oggi fare la Fontina sembra veramente una sfida, una scommessa contro tutti.
Il formaggio amarognolo e odoroso delle valli della mia regione viene prodotto esclusivamente con il latte di mucche che mangiano in pascoli d'altura, in estate, e fieno giallo nelle stalle, durante il lungo inverno, questa caratteristica conferisce alla Fontina, oltre ad un sapore inimitabile, anche caratteristiche nutrizionali uniche.
Il latte viene lavorato entro due ore dalla mungitura, per conservarne la freschezza e il profumo. Per farlo coagulare si utilizza caglio di vitello lattante, dopo un ora il latte è coagulato e poi viene riscaldato, ma poco, neanche a 50 gradi deve arrivare questo nettare pallido, per non perdere la cremosità quasi burrosa che nella pasta molle del formaggio darà quell'elasticità caratteristica, quella sensazione morbida sul palato.
Una delle caratteristiche più affascinanti della lavorazione del formaggio DOP valdostano è la stagionatura che si svolge all'interno di cunicoli e gallerie scavate nella roccia fredda delle Alpi, spesso sono le antiche miniere a conservare nelle loro viscere le centinaia di forme rotonde, diligentemente ordinate su ripiani di legno.
Ma prima del formaggio c'è il tempo lungo passato in solitudine negli alpeggi, fino a settembre, il momento della discesa a valle. Ci sono le veglie per seguire un parto di una bella mucca vigorosa, ci sono le levatacce per la mungitura, ci sono quelle poche parole sincere scambiate con il pastore marocchino che ormai da anni è presenza costante e sapiente su questi pascoli freddi, c'è il bicchiere di vino sul tavolo scuro per la fuliggine della stufa, c'è il cane appisolato sulla soglia.
Quello che vedete, è quello che c'è, siatene certi. Compresa la luce smorzata, comprese le porte sbilenche, i secchi di metallo, i cappelli scuri sfondati, le mani nodose. Se vi sembra di avere aperto una finestra su un altro mondo, su qualcosa che fate fatica ad immaginare, queste fotografie, che uniscono alla delicatezza dello sguardo la spigolosità di vite faticose e dure, queste immagini, che discretamente stanno sulla soglia di esistenze dignitose e piene di orgoglio, vi faranno balenare di fronte agli occhi la concretezza di una vita possibile. Vi scoprirete, forse, curiosi di vestire quei panni, di rigirare il latte tiepido nel grande calderone, di ripetere gesti ancestrali. La sapienza che sta nelle mani, negli sguardi, nella schiena dritta, nella pacca amichevole sulla testa di un cane, è qualcosa che ci pare lontanissima nelle nostre giornate fatte di azioni spesso svuotate da un senso nostro, integro, semplice. Questi scatti certamente segnano la nostalgia di una perdita, disegnano le atmosfere di luoghi e tempi lontani, ma, nello stesso tempo, ci regalano la precisa percezione che un piccolo varco verso quel mondo è sempre aperto, che lo spiraglio ci mette in comunicazione, uomini con uomini, donne con donne, in una solidale appartenenza al gruppo universalmente diffuso di quelli che ci provano, che ce la mettono tutta.
Perché fare la Fontina è una scommessa, una scommessa contro tutti.
Francesca Schiavon
In Valle d'Aosta, come in molte altre vallate del nord-ovest dell'Italia, i mestieri del pastore e del casaro costituiscono ancora una nervatura robusta della vita sociale, culturale ed economica, eppure spesso il loro ruolo risulta sofferente e marginale a causa di un'economia che fa fatica a comprenderli e a sostenerli veramente, al di là di finanziamenti spesso poco mirati e, in fondo, strutturalmente deboli. Così oggi fare la Fontina sembra veramente una sfida, una scommessa contro tutti.
Il formaggio amarognolo e odoroso delle valli della mia regione viene prodotto esclusivamente con il latte di mucche che mangiano in pascoli d'altura, in estate, e fieno giallo nelle stalle, durante il lungo inverno, questa caratteristica conferisce alla Fontina, oltre ad un sapore inimitabile, anche caratteristiche nutrizionali uniche.
Il latte viene lavorato entro due ore dalla mungitura, per conservarne la freschezza e il profumo. Per farlo coagulare si utilizza caglio di vitello lattante, dopo un ora il latte è coagulato e poi viene riscaldato, ma poco, neanche a 50 gradi deve arrivare questo nettare pallido, per non perdere la cremosità quasi burrosa che nella pasta molle del formaggio darà quell'elasticità caratteristica, quella sensazione morbida sul palato.
Una delle caratteristiche più affascinanti della lavorazione del formaggio DOP valdostano è la stagionatura che si svolge all'interno di cunicoli e gallerie scavate nella roccia fredda delle Alpi, spesso sono le antiche miniere a conservare nelle loro viscere le centinaia di forme rotonde, diligentemente ordinate su ripiani di legno.
Ma prima del formaggio c'è il tempo lungo passato in solitudine negli alpeggi, fino a settembre, il momento della discesa a valle. Ci sono le veglie per seguire un parto di una bella mucca vigorosa, ci sono le levatacce per la mungitura, ci sono quelle poche parole sincere scambiate con il pastore marocchino che ormai da anni è presenza costante e sapiente su questi pascoli freddi, c'è il bicchiere di vino sul tavolo scuro per la fuliggine della stufa, c'è il cane appisolato sulla soglia.
Quello che vedete, è quello che c'è, siatene certi. Compresa la luce smorzata, comprese le porte sbilenche, i secchi di metallo, i cappelli scuri sfondati, le mani nodose. Se vi sembra di avere aperto una finestra su un altro mondo, su qualcosa che fate fatica ad immaginare, queste fotografie, che uniscono alla delicatezza dello sguardo la spigolosità di vite faticose e dure, queste immagini, che discretamente stanno sulla soglia di esistenze dignitose e piene di orgoglio, vi faranno balenare di fronte agli occhi la concretezza di una vita possibile. Vi scoprirete, forse, curiosi di vestire quei panni, di rigirare il latte tiepido nel grande calderone, di ripetere gesti ancestrali. La sapienza che sta nelle mani, negli sguardi, nella schiena dritta, nella pacca amichevole sulla testa di un cane, è qualcosa che ci pare lontanissima nelle nostre giornate fatte di azioni spesso svuotate da un senso nostro, integro, semplice. Questi scatti certamente segnano la nostalgia di una perdita, disegnano le atmosfere di luoghi e tempi lontani, ma, nello stesso tempo, ci regalano la precisa percezione che un piccolo varco verso quel mondo è sempre aperto, che lo spiraglio ci mette in comunicazione, uomini con uomini, donne con donne, in una solidale appartenenza al gruppo universalmente diffuso di quelli che ci provano, che ce la mettono tutta.
Perché fare la Fontina è una scommessa, una scommessa contro tutti.
Francesca Schiavon
In mezzo alla terra • 4 opere
Guarda tuttoTHE BIKE'S SPIRIT il corpo e la macchina • 17 opere
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Forse la bicicletta rappresenta la macchina perfetta; l'energia cinetica umana attraverso un semplice[...]
Forse la bicicletta rappresenta la macchina perfetta; l'energia cinetica umana attraverso un semplice telaio e due ruote, un meccanismo essenziale, mette in moto un circolo virtuoso semplice quanto sorprendente. La simbiosi uomo/macchina è realizzata nel più funzionale dei modi, tutto il resto sono aggiunte, correzioni, limature. Chiunque sia andato in bicicletta per qualcosa di diverso che non il semplice spostarsi da un luogo all'altro, ma per passione, per amore del gesto sportivo, per la tensione della velocità, sa certamente apprezzare l'essenzialità dell'andare, sa cosa vuol dire trasformare se stessi in movimento, sentirsi aderire al terreno insieme ai pneumatici, respirare il vento. Se poi la bicicletta è una mountain bike tutto è più amplificato.
Il fotografo ha cercato di fotografare un impressione, non semplicemente atleti in bicicletta, e ha cercato di orientare il proprio sguardo per adattarlo allo “ spirito “ della bici, al suo volto più nascosto; quello che sfugge ad uno scatto pulito, velocissimo e preciso, ma non può sfuggire a chi raccoglie la tensione e l'energia della gara.
Ciclisti soli, al massimo a coppie, squarciano il sipario dei colori naturali, quasi un muro di carta velina colorata che il fotografo pennella intorno e sopra alle sagome degli atleti. E' come se il mondo si muovesse intorno mentre il ciclista trova uno spazio-tempo di stabilità, di immobilità, di meditazione. Il gioco sui colori, le strisce di luce, solo ad un primo approccio sembrano dare l'idea del “ mosso “, in realtà costruiscono l'immagine dell'atleta in forma di icona, la “ immortalano “. E mentre intorno cambiano i paesaggi e il sole lascia spazio alla notte, come nella logica di una gara che copre le 24 ore, le fotografie non perdono mai il proprio centro tematico : lo “ spirito della bicicletta “, la libertà, l'energia, la competizione. Il cuore dello sport.
Francesca Schiavon
Il fotografo ha cercato di fotografare un impressione, non semplicemente atleti in bicicletta, e ha cercato di orientare il proprio sguardo per adattarlo allo “ spirito “ della bici, al suo volto più nascosto; quello che sfugge ad uno scatto pulito, velocissimo e preciso, ma non può sfuggire a chi raccoglie la tensione e l'energia della gara.
Ciclisti soli, al massimo a coppie, squarciano il sipario dei colori naturali, quasi un muro di carta velina colorata che il fotografo pennella intorno e sopra alle sagome degli atleti. E' come se il mondo si muovesse intorno mentre il ciclista trova uno spazio-tempo di stabilità, di immobilità, di meditazione. Il gioco sui colori, le strisce di luce, solo ad un primo approccio sembrano dare l'idea del “ mosso “, in realtà costruiscono l'immagine dell'atleta in forma di icona, la “ immortalano “. E mentre intorno cambiano i paesaggi e il sole lascia spazio alla notte, come nella logica di una gara che copre le 24 ore, le fotografie non perdono mai il proprio centro tematico : lo “ spirito della bicicletta “, la libertà, l'energia, la competizione. Il cuore dello sport.
Francesca Schiavon
Mare nostro • 63 opere
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Un coccodrillo di sabbia sorride alle perplessità di un passante, un papà tiene sulle spalle la sua[...]
Un coccodrillo di sabbia sorride alle perplessità di un passante, un papà tiene sulle spalle la sua bambina e insieme sfidano la potenza delle onde grosse sul bagnasciuga. Il bagnasciuga, è lo spazio antropizzato, domestico – seppur a volte insidioso – e accogliente che ci separa da un altro mondo, quello delle acque che ci ammaliano dall'inizio della nostra storia su questo pianeta. E' il limen dentro al quale rimaniamo sospesi, abbacinati dalla bellezza del blu riflesso del cielo estivo, a volte protetti in una risacca o da un ansa accogliente, altre volte rabbrividenti, temerari e intimoriti ad un tempo, audaci nel guardare la spuma ruggente, malinconici nell'accarezzare la superficie liquida, tiepida, momentaneamente ferma.
Il mare mediterraneo ha una sua personalità, forse come tutti i mari, lo sa bene chi stagionalmente torna a guardarlo e a bagnarcisi e ancora meglio lo sa chi lo guarda tutti i giorni, chi ne sente il profumo d'inverno, chi d'autunno legge l'orizzonte cercando di indovinare il futuro. Raccontano l'energica leggerezza dell'estate, è come se si avesse l'impressione di riflettere lo sguardo eccitato del villeggiante che torna e ritorna a bagnarsi nel "suo" mare. Si evince proprio questa affettuosa consuetudine a cui la scelta del bianco e nero conferisce uno spessore e una notevole compattezza narrativa tanto da poter immaginare gli scatti come disposti idealmente in una sequenza, a voler fermare momenti di una giornata intensa, con i suoi protagonisti che si alternano dentro, di fronte e al fianco del grande, assoluto protagonista: il mare, appunto.
Un mare che diventa “nostro” ogni volta che troviamo il modo di costruire un tacito, profondo collegamento, un legame intimo con quell'enorme e misteriosa massa d'acqua, un sodalizio che passa attraverso gli occhi, che ne assaporano la sorprendente bellezza, attraverso le orecchie, che si cullano nel continuo, a tratti sommesso sciabordio, e attraverso la tensione del nostro corpo, che resiste alla compattezza dell'acqua per poi abbandonarvisi in un movimento filiale e primordiale fino a confonderci con la materia da cui tutti noi abbiamo tratto origine.
Francesca Schiavon
Il mare mediterraneo ha una sua personalità, forse come tutti i mari, lo sa bene chi stagionalmente torna a guardarlo e a bagnarcisi e ancora meglio lo sa chi lo guarda tutti i giorni, chi ne sente il profumo d'inverno, chi d'autunno legge l'orizzonte cercando di indovinare il futuro. Raccontano l'energica leggerezza dell'estate, è come se si avesse l'impressione di riflettere lo sguardo eccitato del villeggiante che torna e ritorna a bagnarsi nel "suo" mare. Si evince proprio questa affettuosa consuetudine a cui la scelta del bianco e nero conferisce uno spessore e una notevole compattezza narrativa tanto da poter immaginare gli scatti come disposti idealmente in una sequenza, a voler fermare momenti di una giornata intensa, con i suoi protagonisti che si alternano dentro, di fronte e al fianco del grande, assoluto protagonista: il mare, appunto.
Un mare che diventa “nostro” ogni volta che troviamo il modo di costruire un tacito, profondo collegamento, un legame intimo con quell'enorme e misteriosa massa d'acqua, un sodalizio che passa attraverso gli occhi, che ne assaporano la sorprendente bellezza, attraverso le orecchie, che si cullano nel continuo, a tratti sommesso sciabordio, e attraverso la tensione del nostro corpo, che resiste alla compattezza dell'acqua per poi abbandonarvisi in un movimento filiale e primordiale fino a confonderci con la materia da cui tutti noi abbiamo tratto origine.
Francesca Schiavon
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