CONTEMPORARY PORTRAIT "BLACK ANG GOLD" (2023)Dipinto di Nataliya Bagatskaya
La storia del cappello
Definizione di cappello: capo di abbigliamento destinato a coprire in modo parziale o totale la testa, sia per ebbellirla, che per proteggerla del sole, dal vento, dalla pioggia, dalla neve, etc. Un uso particolarmente ricorrente si riscontra anche in presenza di calvizie, oppure per nascondere i capelli poco puliti (ironia).
Tra il 30000-25000 a.C e l’Età del bronzo: dov’era il cappello tra il 30000 e il 25000 a.C? In testa alla famosissima Venere di Willendorf! Di fatto, la statuetta di 11 cm parrebbe raffigurare la dea della fertilità con indosso un copricapo intrecciato. Ad ogni modo, il primo cappello ufficialmente confermato della storia risulta essere quello indossato da Ötzi, uomo dell’Età del Bronzo ritrovato congelato tra Austria e Italia.
Antico Egitto: pensiamo, grazie alla maggior parte dei reperti che sono giunti sino a noi, che gli egiziani fossero amanti solo delle scure parrucche a caschetto che adoravano indossare, senza conoscere come spessi i faraoni tendevano a celarle al di sotto di un berretto rosso o una tiara bianca. Simili costumi, anche se con variabili, si riscontrano nella Mesopotamia e in Palestina, dove il cappello era per lo più indossato dai sacerdoti. Se siete rimasti a pensare, alquanto stupiti, al racconto sull’Egitto, allora vi invito a guardare la pittura tombale di Tebe, che, datata intorno al 3200 a.C, mostra un uomo intento a coprire la sua testa con un cappello di paglia conico. A quanto illustrato è possibile aggiungere che all'epoca era normale anche radersi i capelli, sfruttando un copricapo appositamente progettato per tenere la testa nuda al fresco.
Mondo greco e romano: nel mondo greco e romano c’erano diverse tipologie di cappelli, intese principalmente per consentire il riconoscimento della classe sociale di chi li portava. Vi faccio un esempio, il berretto frigio era indossato dagli schiavi liberati in Grecia e a Roma!
Medioevo: lo stesso concetto greco-romano perdura nel mondo medievale, dove simili erano anche i cappelli per le donne, che potevano essere anche delle semplici sciarpe, la cui elaborazione denotava l’estrazione sociale. Soltanto a partire dal XVI secolo i copricapi di quest'ultime divennero maggiormente strutturati, ricalcando le elaborate fattezze di quelli maschili.
Trecento, Quattrocento e Rinascimento: il cappello moderno nasce nel Trecento, mentre il Rinascimento impreziosì questa usanza, favorendo l’utilizzo di sinuosi materiali, oltre che la realizzazione di studiate forme. Ad ogni modo i capelli erano generalmente maschili, in quanto le fanciulle preferivano mostrare elaborate acconciature.
Settecento, Ottocento e Novecento: le parrucche settecentesche decretarono la nascita di cappelli mastodontici, anche se la maggiore semplicità Ottocentesca portò a mode sobrie per il sesso maschile. Alle donne, invece, si consentì una maggiore stravaganza, volta anche ad accordarsi con le simili acconciature. Il Novecento è infine celebre per il trionfo delle bombette, delle pagliette e del floscio, che furono popolari per tutto il secolo.
ÉNIGME GÉOMÉTRIQUE (2023)Arte digitale di Anki
UN ÉTÉ À LA BAULE FRENCH SCHOOL (2023)Dipinto di Bazévian Delacapucinière
INSOLENCE 2/3 (2021)Fotografia da Bettina Dupont
Evitando gli esempi classici
I cappelli dei pittori
La storia del cappello appena narrata trova un riscontro pittorico, al quale potremo alludere citando celebri capolavori con il copricapo, come, ad esempio, la Giuditta con la testa di Oloferne (1530) di Lukas Cranach, il Ritratto di Susanne Fourment (1625) di Pieter Paul Rubens, Jeanne Hebuterne con cappello (1918) di Amedeo Modigliani e La grande guerra (1964) di René Magritte. Ad ogni modo, ho voluto esulare dal racconto più scontato per portare alla luce una pratica diffusa tra i pittori, che, in alcune occasioni, si sono spesso ritratti con il copricapo! A cosa è dovuta questa tendenza alquanto ricorrente? É possibile ricollegare il tutto, almeno in parte e con un po' di fantasia, all’usanza di indossare il cappello per presentarsi di fronte a committenti facoltosi, al fine di lavorare dimostrandosi, almeno all’apparenza, alquanto rispettabili. Questa pratica si diffonde specialmente nell'Italia del XV secolo, periodo in cui i pittori arrivarono addirittura a raffigurarsi di sovente con cappelli rossi, nel pieno rispetto del colore di moda dell’epoca. Estendendo idealmente questo virale uso del cappello all’interno del genere dell’autoritratto, ho voluto portare alla luce alcuni esempi celebri, in cui i pittori si sono raffigurati con in testa i loro copricapi preferiti. Allora mi vengono subito in mente: Self-portrait (or Self-portrait at 26) (1498) di Albrecht Dürer, Self-Portrait (1623) di Peter Paul Rubens, Self-Portrait with Beret and Turned-Up Collar (1659) di Rembrandt, Self-Portrait with Grey Felt Hat (1887) di Vincent van Gogh, Self-Portrait in a Hat (1893) di Paul Gauguin, etc. Ad ogni modo non parlerò di nessuno di questi, in quanto voglio sintetizzare l’argomento, mettendo in evidenza Self-portrait at an Easel (1790-95) di Francisco Goya. Il capolavoro rappresenta un autoritratto concettualmente romantico, in quanto l’artista si ritrae mentre dipinge senza nemmeno osservare la tela, poiché è la sola ispirazione a condurre il suo pennello. Allo stesso modo, poco interessante è il mondo esterno per il pittore, al quale comunque non può accedervi data la temporanea luminosità della finestra al suo fianco. Giungendo infine al cappello, il maestro ne indossa uno da pittura notturna, in quanto, ad ogni modo, la luce della creatività illumina sempre la mente dell’artista romantico. Adesso tocca agli artisti di Artmajeur, che sposteranno l’attenzione sulla relazione tra soggetti femminili e cappelli.
LADY IN RED HAT 2 (2023)Pittura da Tanja Olsson
LADY IN RED HAT 2 di Tanja Olsson
In questa composizione ci sono tre protagonisti: il cappello, la donna e il colore rosso. Tutti questi elementi attraggono naturalmente l’attenzione del fruitore, in primo luogo catturata dalla vivacità della cromia della passione, secondariamente pronta a distinguere le fattezze di un grande ed elegante cappello rosso e, infine, attenta a rintracciare le fattezze di chi lo indossa con naturale eleganza. Al fine di accentuare maggiormente tali peculiarità compositive fa la sua parte anche lo sfondo, che non ci distrae con visioni realistiche, ma è pronto ad accompagnare il racconto principale con il suo astrattismo vivace. Il tutto può essere spiegato anche mediante le parole della stessa autrice: “In questa galleria virtuale sboccia il ritratto di una ragazza in rosso, la sua silhouette evidenziata dall'ampia falda di un cappello rosso. Il profilo del suo viso è avvolto nel mistero, poiché i suoi occhi sono nascosti dall'ombra proiettata dalla falda del cappello. Lei guarda in lontananza, come se cercasse qualcosa di sconosciuto. Lo sfondo del dipinto è incorniciato da una palette di colori rosso-verde e blu, creando una combinazione di colori affascinante. Ogni tonalità si fonde nell'altra, formando un'esperienza visiva armoniosa ed evocativa. Questa sinfonia di colori accentua il mistero e la bellezza del momento catturato sulla tela. Questo ritratto non è solo l'immagine di una ragazza, ma uno sguardo nel suo mondo interiore.” Infine, a proposito dell’artista di Artmajeur, il compito della pittura di Tanja Olsson è quello di rendere concreto un personale processo di trasformazione, in quanto l’artista, nel 2004, è stata vittima di un incidente, che le ha cambiato la visione del mondo. Lo scopo della sua pittura è divenuto appunto quello di trasformare la sofferenza in consapevolezza, l’ombra in luce, la tragedia in rivelazione, pronta ad esprimersi mediante il potere e le emozioni suscitate dai colori e dalle forme.
GIRL IN A FELT HAT (2016)Pittura da Mike Smith
GIRL IN A FELT HAT di Mike Smith
Tre rose. Tre sono nelle sue mani, ma ne guarda solo una. Essa diventa l’oggetto di tutte le sue attenzioni, come un amante delicato. É solo muto amore o la ragazza si sta ponendo anche delle domande? É forse pronta ad iniziare quel noto gioco di togliere i petali, cercando di comprendere se l’amato la corrisponde o meno? Questo non possiamo saperlo, perché la pittura di Smith ci lascia in sospeso, all'interno di un racconto sicuramente romantico, in cui possiamo perfino immaginare di sentire un sospiro. Un sospiro che ricorda qualcosa che a noi non è concesso sapere, tanto che ci sentiamo liberi di immaginare mille opzioni, più o meno dolorose, da collegare a quest'ultimo suono. Sicuramente c'è da fare attenzione, perché il dolore potrebbe arrivare anche dal contatto con le spine del fiore...Ad ogni modo, il dipinto dell’Artista di Artmajeur appena descritto viene sintetizzato così dal suo autore: “Mi sono imbattuto in un grazioso cappello di feltro con macchie bianche. Mi è piaciuto così tanto che ho deciso di utilizzarlo in un dipinto. Ho fatto indossare al modello un abito scuro anch'esso con macchie bianche. Ho pensato che le rose avrebbero completato l'intera immagine. Ho deciso che una fonte di luce proveniente da una direzione sarebbe stata la migliore.” Adesso siamo finalmente giunti a comprendere la natura della finzione pittorica, divenendo quasi sicuri che il soggetto raffigurato forse non allude a drammi sentimentali, quanto, piuttosto, a sapienti scelte compositive del gusto romantico. É allora il fruitore che può intervenire con la sua sensibilità, per arricchire di significato ciò che vede, ponendo al suo interno quello che è il suo vissuto.
#6 - THE WONDER UNDER THE HAT (2023)Fotografia da Eric Lespinasse
#6 - THE WONDER UNDER THE HAT di Eric Lespinasse
La rosa sopra contemplata si è forse trasformata nell’elegante cappello, che indossa la modella dello scatto di Lespinasse, il cui sguardo celato ci impedisce di comprendere, oltre che parte della sua identità, anche i moti del suo animo. Dall'espressione della sua bocca la fanciulla risulta essere comunque alquanto seriosa e assorta, tanto da farci pensare che ha voluto appositamente abbassare il suo capello, per continuare a rifletter da sola, senza incrociare lo sguardo di un curioso e invadente fruitore. Ciò che è certo è che il tutto viene alleggerito dalla candida presenza del bianco, colore che allude alla purezza del cuore della fanciulla, che resta in attesa del sopraggiungere di chissà quale evento esterno. A proposito di Eric Lespinasse, invece, egli è un artista francese classe 1974, che da circa 25 anni si dedica alla fotografia, ma anche alla pittura e al design digitale, esercitando principalmente a Parigi. La peculiarità distintiva del suo lavoro fotografico è sicuramente l’incidenza della luce, sempre pronta a rievocare uno studiato linguaggio pittorico, volto anche a presentare aspetti poetici, capaci di omaggiare, sia il mondo, che l’essere umano. Il tutto viene celebrato mediante un mix di fotografia tradizionale e fotoritocco digitale, combinazione che permette di rendere alla perfezione ciò che l’artista aveva premeditato, dando voce alla sua visione, alle sue influenze e alla sua sensibilità.