Andrea Cardia Immagine del profilo

Andrea Cardia

Ritorna alla lista Aggiunto il 1 mar 2005

Critica Claudio Fabbri

Quel che piu’ colpisce nella pittura di Andrea Cardia è certamente l’intima tensione e il tormento che animano le sue forme.
E’ come se l’artista mettesse in movimento masse cromatiche e figure che, sempre-tradiscono uno sforzo,un’esigenza incontenibile di autosuperamento.
Ciò vale anche e soprattutto per i numerosi volti, spesso autoritratti ,le cui linee fluide decise accennano ad un “oltre” che si spinge e ci spinge al di la’ di uno stupore che perfora la fissita’ estatica dell’attimo e dell’emozione che egli vuole trattenere.
La dimensione propria dell’arte sembra a noi consistere essenzialmente nell’apertura che essa prefigura su un “altrove; essa utilizza alfabeti e norme sintattiche variamente configurate e sempre di nuovo configurabili,per annunciare quell’”oltre” di cui si diceva,la possibilita’ di un mondo in cui si realizzi finalmente la conciliazione dell’uomo con la natura.
Questo substrato utopico dell’arte costituisce propriamente la sua “promessa” , il suo elemento irriducibilmente umano,che aspira alla liberazione,al superamento della soglia che definisce la tragicita’ della condizione storica.
E’ per ciò che grava sull’artista un compito ineludibile: attraversare,coraggiosamente,i territori del negativo,sporcarsi le mani con i prodotti lacerati della storia.
Una realta’,quella storica,che giunge sino a noi attraverso lunghe e non sempre identificabili catene di mediazioni, e di cui facciamo esperienza, per lo piu’,in forma di disagio, che diventa talora un’angoscia muta che pervade i corpi di uomini e donne, in solitudine, e nella piu’ stretta intimità.
Chi avverte il bisogno di dare espressione a tutto ciò,anche nei momenti di maggiore serenità,-che in Cardia si traducono,mi sembra ,nella predilezione per i volti di bambini,indagati nell’intensità delle loro emozioni-si espone a un rischio enorme; accettare e fronteggiare la pericolosità di un percorso ignoto è , tuttavia , l’unico riscatto possibile da una condizione umana stanca , anzitutto, della propria alienazione e del proprio irriconoscibile dolore.
L’arte di Cardia è un atto d’accusa contro la disumanità, un invito a riconoscere la storicità; non solo questo però. Traspare nelle sue opere anche la ribellione nei confronti di quelle forme degradate della comunicazione che hanno sequestrato nei loro palinsesti i sentimenti umani, ”intervistandoli” e facendone oggetto di una chiacchiera interminabile e oscena.
Così la morsa si fa più stretta.
I suoi quadri non concedono nulla al bisogno di pacificazione dell’osservatore; al contrario , lo provocano, gli si contrappongono, ne mettono a nudo, straniandolo, i condizionamenti linguistici e gli automatismi formali.
Sulle tele e gli altri supporti materiali di cui fa uso l’artista- sacchi di iuta, cartone, legno e altro – dilagano linee e colori che marcano coscientemente la propria distanza espressiva rispetto al dominio dei linguaggi eterodiretti e il cui scopo è ripristinare le regole minime di una lingua autentica e critica, autentica perché critica.

Claudio Fabbri
(sociologo)



Le opere sono segnate da una grandissima intensita' emotiva.
La materia macerata dell'impasto tonale si aggruma e si slabbra in un disegno corroso dal gesto consumato di una pennellata incattivita.L'addensamento frenetico della materia si esaspera nello squilibrio consapevole di una sorda sgrammaticatura.
Partendo dalla figurazione aggressiva ed energica degli anni 80 come quella di Julian Schnabel,Cardia sembra muoversi dal contesto del Neoespressionismo Internazionale con una sensibile ed intensa cifra stilistica personale.

Paola Berardi(Critica D'Arte)
Giorgio Guarnieri(critico D'Arte -Spazio Mostre)




L’URGENZA DELLA PITTURA

Andrea Cardia nasce a Roma nel Luglio del 1971 ,ultimo di sette fratelli.
Se è vero che i nomi possono avere un qualche significato , magari da ricercare nell’emitologia , allora si può partire dal nome per entrare nel mondo di Andrea Cardia.
Dalla radice greca di Andros ,il nome significa “uomo coraggioso” e ancora dal greco Cardias il cognome indica il cuore , l’organo che presiede la vita.
Le due componenti confluiscono per bizzarro gioco del destino ,nell’opera di Andrea che della pittura ha fatto la sua forza ed il suo coraggio.
Una vita giovane ma segnata da esperienze borderline che confluiscono,come nella migliore tradizione delle biografie”maudites” nelle tele trasognate o drammaticamente segnate da un segno grafico potente,nero,definitivo.
Le componenti,quelle materiche e quelle brucianti della vita vissuta,s’intersecano e si confondono nel gioco drammatico dei colori e delle forme tormentate.
Sulla tela,infatti,si consuma il gioco di un infanzia negata,rivissuta ed evocata dall’uso insolito delle vernici da carrozziere, respirate da bambino nell’officina paterna, quando ancora era il tempo dei giochi e l’espressione gestuale non era terapia del dolore,non esorcizzazione della mancanza e della perdita degli affetti.Così si passa con totale naturalezza all’uso della sabbia e al catrame,materiali immediatamente reperibili,materiali da “street arte”.Ogni forma d’espressione è orientata alla ricerca tattile e febbrile d’odori del passato,delle sensazioni mai dimenticate che si materializzano magicamente sulle tele ma anche su tutti gli altri tipi di supporti”poveri o improvvisati dall’urgenza della pittura.
Per questa ragione nella produzione di Andrea Cardia non c’è spazio per le sperimentazioni della contemporanea videoarte se non in passaggi occasionali,perché la mediazione di una videocamera o di una macchina fotografica impedisce l’esperienza puramente materia, che è anche l’esperienza dei sensi.Le tele vengono perciò “agite”in una sorta di action painting che non rinuncia però alla figura nel momento in cui il supporto viene sporcato,accarezzato,abbracciato,calpestato perfino affinché l’arte si confonda con la vita.La tela serve a far riaffiorare ogni volta il dramma e l’emozione della nascita,serve a rivivere la perdita della simbiosi perfetta e originaria con la figura materna,intesa come viaggio di una parte del “se’”verso il mondo esterno.
Cio’ che si materializza sul lino e su qualsiasi altro supporto”a portata di mano”è una gamma schizofrenica di soggetti e colori,dai paesaggi necessariamente postimpressionisti ed emotivi dei papaveri e dei girasoli dove è assente la traccia dell’umana corruzione per approdare all’assoluta preponderanza della figura messa al centro della composizione,nudi di donna scolpiti nella linea dura e vibrabrante al tempo stesso.
L’affetto di un padre verso il proprio figlio si distende nel sorriso protettivo e sincero,ma il bambino costretto a crescere e ad abbandonare il paradiso perduto di miltoniana memoria,si raggomitola in posizione fetale per proteggersi dalle bruttezze del mondo cui è stato consegnato,un mondo che perde la luce morbida e si trasfigura in una linea dura che ne segna i contorni vuoti.
La chiusura al mondo nasconde,ed è ovvietà,il bisogno perpetuo di aprirsi agli altri(il nostro inferno)al contatto fisico e spirituale con gli altri esseri umani,ai sentimenti di sempre come l’amicizia e l’amore per affermare la necessità della condivisione.
Attraverso la quale diventa praticabile compartecipare insieme ad altri artisti un'unica tela,scambiarsi pennelli e colori,”agire” sui lavori altrui,non per dissacrarli alla maniera di Duchamp,ma per illuminarli di una vita nuova.
L’io incosciente e ancora vergine guida la mano di un artista che sente l’esigenza di sperimentare nell’anelito di sublimare la rabbia e la nevrosi nell’espressione artistica.

Veronica Briganti(storia dell'arte)

Artmajeur

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