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Stefano Davidson

Montelibretti, Italia
Artista (Pittura, Scultura)
Nato a 1962
Dipingo quando non ho più parole scrivo quando non mi bastano i colori

Stefano Davidson
Nato a Genova il 29 Maggio 1962.
Pittore, scrittore e giornalista
Vive e lavora a Roma.

Fondatore nel 2008 del movimento artistico NON la cui Prima Esposizione Mondiale si è tenuta a Roma il 24 Aprile 2009 presso le Sale d’Arte Contemporanea del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali con il Patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e del Comune di Roma seguita dalla Seconda Esposizione Mondiale NON tenutasi a Firenze nella Chiesa di San Jacopo in Campo Corbolini anche in questo caso con il Patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e del Comune di Firenze.

Scopri opere d'arte contemporanea di Stefano Davidson, naviga tra le opere recenti e acquista online. Categorie: artisti italiani contemporanei. Domini artistici: Pittura, Scultura. Tipo di account: Artista , iscritto dal 2012 (Paese di origine Italia). Acquista gli ultimi lavori di Stefano Davidson su Artmajeur: Scopri le opere dell'artista contemporaneo Stefano Davidson. Sfoglia le sue opere d'arte, compra le opere originali o le stampe di alta qualità.

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NON - the art of absence or the absence of art • 1 opera

(English translation at the foot) (Traduction en français au bas de la page) La NON essenza o, meglio,[...]
(English translation at the foot)
(Traduction en français au bas de la page)

La NON essenza o, meglio, l’essenza dell’assenza.

Il NON individua nell’assenza la grande protagonista di questo inizio di secondo millennio poiché ritiene assolutamente evidente che la costante e ridondante presenza di “tutto” nella vita di ciascuno, in ogni momento della sua giornata, crei la necessità assoluta di assenze che gli consentano di riuscire a rilevare meglio e più distintamente le presenze. La troppa informazione, di qualunque genere sia, come si sa, crea infatti disinformazione poiché tutto diventa automaticamente, nonché contemporaneamente, il contrario di tutto. Il NON nasce quindi dall’esigenza di riflettere sulla sempre più preoccupante assenza di assenze all’interno delle cose umane nel mondo cosiddetto “civile” dove tutto è compresso, tutto è pieno di tutto, tutti sembrano aver bisogno di tutto e subito.
Per ragioni politiche o commerciali, ormai ogni nicchia di spazio e di tempo è stata riempita al limite della sua capienza. Dai muri delle città alle ex-immensità dell’etere, dal reale al virtuale, tutto è occupato da qualcosa. In pratica non rimangono più atolli di assenza, zone franche, tregue sensoriali ove poter riposare la mente, la quale non ha più materialmente il tempo di generare proprie fantasie, poiché colma di quelle di altri, indotte a forza giù per il nervo ottico, la coclea, le narici o la gola. Non c’è più tempo per pensare a ciò che si sta vivendo quotidianamente, poiché già domani si dovrà analizzare qualcosa di nuovo, che magari sarà esattamente l’opposto di ciò che è appena stato sperimentato. Ogni cosa ed il suo contrario esistono e sono qui, ora. Il NON nasce quindi per segnalare che ora è il momento di tirare il fiato, di frenare, di smetterla di guardare cosa fanno, o hanno fatto gli altri, e fare qualcosa noi. È necessario rientrare in noi stessi e occuparci di ciò che abbiamo dentro, c’è bisogno di pensare con le nostre singole teste e di tornare ad essere individui. Il NON è la nostra capsula di salvataggio, è il nostro singolo spazio di sopravvivenza. Il NON, in primis, siamo noi. Per far sentire meglio la sua voce il NON ha scelto di manifestarsi in quanto movimento/progetto artistico, sia perché è proprio nel mondo dell’arte che ormai ci si trova di fronte ad una delle manifestazioni più evidenti del suddetto overload, sia perché l’arte è da sempre la prima forma di comunicazione a percepire il polso delle necessità di una società. Il NON nasce quindi come una sorta di provocazione immateriale. Il NON è un urlo muto che cerca di rimarcare quanto oggi possa essere vulnerabile la cultura, e quanto qualunque concetto possa essere strumentalizzato attraverso la saturazione dell’informazione: che sia esso etico, filosofico o fisico, non fa differenza. Parimenti il NON è anche il tentativo di evidenziare come spesso si possa (e si cerchi di) far credere che sia arte anche ciò che arte non è, e di conseguenza come si riesca per raggiungere questo scopo a manipolare tutto, compreso il nulla. È per questo motivo che il NON pretende di essere riconosciuto quale espressione artistica e si autonomina ultima frontiera dell’arte pittorica, nonché di qualunque altra forma di arte visiva o plastica. Il NON si propone quindi quale concretizzazione del più grande paradosso commerciale ed economico della storia, inteso come compravendita del nulla, anziché di un qualcosa, spesso altrettanto inutile, ma decisamente più ingombrante e deteriorabile. Nel contempo il NON sarà anche la realizzazione del massimo paradosso artistico, quale la preferenza dell’assenza di una espressione artistica, piuttosto che la sua presenza (considerando la qualità di parecchie di quelle oggigiorno prodotte!).
Il NON è in definitiva l’arte dell’assenza, ovvero la mancanza di qualunque forma d’arte nel senso materiale del termine. Ciò non significa che la creazione artistica non deve esistere, ma semplicemente che non deve essere percepita utilizzando alcuno dei cinque sensi ormai intasati da informazioni in continuo e costante arrivo da ogni dove. Oltretutto, molto spesso, gli inganni prodotti da vista, udito, tatto, olfatto e gusto sono tali da dovergli inibire la possibilità di condizionare il nostro modo di percepire l’arte. È solo in completa assenza di questi a volte inattendibili e comunque primitivi ausili che possiamo intuire la vera fonte della creazione artistica. È solo annullando ciò che costantemente ci rievoca i nostri bisogni primordiali, e con loro la nostra mortalità corporea, che possiamo accedere al vero infinito artistico. Il NON sostituisce quindi la presenza di qualunque creazione artistica con la sua latitanza, evidente nella sua manifestazione tanto quanto lo sarebbe la sua presenza. L'assenza secondo il NON è quindi molto più visibile della presenza, poiché quest’ultima è inadatta a rappresentare l'assoluto, il niente, l’ “Ouden” da cui il “Pan” ha avuto origine.
Anzi, si può certamente sostenere che l’indisponibilità fisica dell’opera, ed il vuoto che essa crea ove viene collocata (o forse sarebbe meglio dire non-collocata ) è assolutamente più rilevabile poiché, come detto poco sopra, essa non stimola alcuno dei sensi e, considerato quanto al giorno d’oggi, come detto, ognuno di essi viene in noi sollecitato continuamente ed in ogni modo, essa crea nel nostro cervello al momento della sua osservazione una sorta di tregua sensoriale, che consente così al nostro intelletto di lavorare senza alcun condizionamento. Il disimpegno dei sensi al cospetto di un’opera NON permette al fruitore di concentrarsi solo ed esclusivamente sul reale significato della stessa, utilizzando meccanismi molto simili a quelli della meditazione. Conseguire il nulla come stato mentale accorderà infatti allo spettatore di essere totalmente concentrato sull' opera NON e di raggiungere un livello di pensiero talmente alto a cui mai sarebbe potuto pervenire se fosse stato coscientemente attivo nell’atto stesso di pensare osservando qualcosa di specifico ed oggettivo. Comprendere ciò è fondamentale poiché ciascuna opera NON dovrà essere considerata sempre ed assolutamente in modo integralmente soggettivo, di modo che sia il nostro proprio Io a materializzarla nella nostra mente esattamente come desideriamo che essa si presenti, a prescindere da ogni condizionamento esterno, sia esso indotto da vincoli di ordine culturale, così come da eventuali retaggi educazionali.
Il NON è infatti l’arte di ognuno, al di là delle sue oggettive capacità artistiche o creative. Ciascuna opera NON è esattamente come desideriamo che sia, ed ognuna di esse corrisponderà sempre ed inevitabilmente al gusto di ciascuno. Il NON supera quindi la barriera del gusto personale adattando la propria non-struttura alla discrezionalità di ciascun fruitore, inglobando anzi in se stesso qualunque esigenza gli si proponga di volta in volta. L’opera d’arte nella concezione del NON si deve quindi imporre e proporre solo in quanto potenziale, quando ancora non è, il che significa che l’arte non “deve essere” ma “può essere”. Per raggiungere questa condizione l’opera d’arte deve quindi non essere o, meglio, essere assente. Il NON infatti va addirittura oltre il concetto di torii, poiché ha eliminato anche la struttura più essenziale nel suo cammino verso la perfezione, inseguendola attraverso l’intuizione di Antoine de Saint-Exupery il quale asserì che "la perfezione si ottiene non quando non c'è altro da aggiungere, ma quando non c'è altro da togliere".
Il NON è vicino tanto a Michelangelo, il cui scopo era eliminare tutto ciò che teneva la figura imprigionata nel blocco di pietra, quanto al pittore giapponese Ike No Taiga, quando sosteneva che “disegnare uno spazio bianco in cui non sia raffigurato assolutamente nulla è sicuramente l'impresa più difficile per un artista, perché non è facendo nulla che si ottiene il nulla, non è astenendosi dall'agire che si può evocare il vuoto”.
Il NON oltrepassa il ponte Shirakawa e l’attenzione di chi si pone al suo cospetto si deve concentrare esclusivamente sul vuoto, sull’estetica dell’assenza, e su quanto ciò può rappresentare o contenere, su come il non essere potrebbe invece essere, a seconda del soggetto che lo contempla, o dell’attimo in cui viene osservato. Si badi bene che nel NON l’assenza è intesa sempre e comunque come mancanza “assoluta”. Non si può infatti ritenere NON l’assenza, momentanea o definitiva, di un’opera che è stata o che è fisicamente tangibile e che, tra l’altro, rimane tale anche se collocata in una qualunque altra parte del mondo (cosmo?) o del tempo, rispetto a quella della sua abituale sistemazione. Ad esempio: quando nel 1911 Vincenzo Peruggia rubò La Gioconda dal Louvre, o quando, più recentemente, sparì L’Urlo dal Munch Museum, non si crearono degli involontari NON poiché, non solo le due opere d’arte si trovavano comunque da qualche parte, ma soprattutto perché erano ed erano state. È infatti una delle leggi fondamentali che regolano il NON quella che stabilisce che esso non è, non è stato e non sarà.
Il NON è ciò che Paul Klee cercava disperatamente, ciò che è "al di là dell'apparire", ossia ciò che va oltre la "comune radice terrestre". Il NON è ciò a cui anelava Maleviç, quando realizzò il "quadrato bianco su bianco" tentando di bucare lo spazio pittorico nella direzione del "puro spazio originario". Il NON è tutto ciò che si nasconde oltre i “tagli” di Fontana. Il NON è il sottoinsieme di ogni possibile insieme artistico. Il NON porta nell’arte quel nulla che già nella scienza e nella matematica si è fatto problematico e inquietante e che ricopre un ruolo altrettanto fondamentale, se non addirittura maggiore, della stessa realtà apparente. Il NON è quindi un niente, ma è un niente come lo zero, come quel numero cardinale che indica la mancanza di ogni valore che però in un sistema di numerazione posizionale su base decimale aggiunto alla destra di altre cifre, serve a moltiplicarle per dieci. Il NON è l’arte insita in ogni animo umano. Il NON è tutta l’arte mai vista. Il NON è tutta l’arte che avrebbe potuto essere ma non è stata, tutta quella che può essere ma non è, tutta quella che potrebbe essere ma non sarà. Ovviamente le caratteristiche principi delle opere NON,ovverosia la loro incorporeità assoluta (da cui l’intangibilità) nonché la loro inudibilità, non consentono di classificarle seguendo canoni di catalogazione tradizionali. Questi ultimi del resto risultano assolutamente inadeguati anche per individuare l’eventuale posizione del NON all’interno di una qualunque branca dello scibile umano poiché, per sua stessa costituzione (ma anche qui il termine è assolutamente inappropriato, sarebbe forse meglio dire per sua stessa trascendenza), il NON fugge da qualunque collocazione artistica, etica, filosofica o semantica. Ciò poiché l’appartenenza a qualsivoglia ambito consisterebbe nell’individuazione di una sua presenza e, di conseguenza, porterebbe alla negazione della sua stessa essenza e, considerato che questa è a sua volta una negazione, si giungerebbe ad una doppia negazione che darebbe vita ad un’affermazione, negando così il principio fondamentale del NON. Il nulla è ciò che più si avvicina al concetto di NON, che nega a priori addirittura la propria esistenza in quanto concetto, ammettendo se stesso solo in quanto assenza. Il NON è quindi assenza, è nulla, ma attenzione non è assolutamente un nulla definitivo, uno stato di inerzia e di inesistenza, bensì deve essere considerato come un nulla procreante. L’assenza nel NON non deve quindi mai essere considerata nell’accezione di mancanza, poiché in NON il nulla non è assenza di una presenza, bensì presenza di un assenza. Attenzione quindi, nel NON la nozione di assenza deve essere assolutamente interpretata similmente a quella dello shunya indiano, per cui, come detto, non deve assolutamente essere considerata nell’accezione di mancanza, ma solo in quanto “stato potenziale”.
Il NON è allora un nulla vitale, dinamico, costantemente pronto a concretizzarsi, è ciò che si può definire come una conditio in fieri. Il NON è quindi vuoto? Sì. Il NON è quindi spazio? Certamente. Ma è “lo spazio primordiale”, è un inizio e una fine insieme, è l’universo stesso in attesa del Big Bang. Il NON è dunque una porta sull’incognito, un “buco bianco” generato agli antipodi di un’arte ormai divenuta un “buco nero” che inghiotte in se stessa, oltre a se stessa, anche tutto quanto esula dalla sua propria essenza. In NON il nulla è perciò il paradigma e NON è quindi la perfezione, è il tutto perché dal niente, comunque, tutto può essere generato. Il NON, in ultima analisi, è definibile quale gravidanza perenne e, di conseguenza, rappresenta il massimo femminino, l’origine. Il NON è il concavo in un mondo convesso. Il NON è il vuoto che compensa il pieno. Il NON va oltre la percezione sensoriale. Il NON è il virtuale supremo. Il NON è l'unica forma di arte visiva che può essere osservata ad occhi chiusi. Il NON è il dogma dell’arte. Il NON è Dio.
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NON essence, or better, the essence of absence.

NON views absence as the great protagonist of the beginning of the second millennium. Its unequivocal assertion is that the constant and redundant presence of "everything" in the life of western humans in every second of their day creates the absolute necessity for absences in order to better and more distinctly notice presence. It is widely known that information overload, in whatever form it takes, creates disinformation, given that everything automatically and simultaneously becomes the opposite of everything else. Hence NON is born of the necessity to reflect on the ever more worrying absence of absence in human life in the so-called civilized world. Everything is squeezed together, everything is full of everything, everyone seems to need everything and all at once. By now, whether for political or commercial reasons, every niche of space and time has been filled to the limits of its capacity. From the walls of cities to the ex-immensity of the ether, from the real to the virtual; everything is occupied by something. In reality, there are no more atolls of absence, neutral zones, sensorial truces in which the mind can rest. The mind has positively no more time to create its own fantasies because it is full of those of others, forced into it by way of the optic nerve, the cochlea, the nostrils or the throat. There is no more time to think about our experiences of today since tomorrow will bring something new to ponder that will perhaps be the exact opposite to what we just experienced. Everything and its opposite exist and they are here, now. NON, therefore, has come into being as a sign that now is the time to hold our breath, to take a break, to stop looking at what others are doing or have done, and do something ourselves. We must look at ourselves and concern ourselves with what we have inside. We must think with our own heads and return to being individuals. NON is our survival kit. It is our only hope for continued existence. NON is us.
To make its voice heard, NON has chosen to manifest itself as a movement/artistic project, precisely because the world of art is at the forefront of one of the most high profile displays of the fore-mentioned overload. Also because art as a form of communication is always the first to detect a pulse when it comes to the needs of a society. The NON is therefore a type of immaterial provocation. NON is a mute cry that seeks to point out how vulnerable culture is today, how any concept can be exploited through the saturation of information, whether it be ethical, philosophical or physical, there is no difference. Likewise, NON is an attempt to highlight how often we are made to believe that something is art even if it is not and how as a consequence it is possible to manipulate anything, even nothingness. For this reason NON demands to be recognized as artistic expression and commissions itself as the last frontier in pictorial art and all other visual or plastic art forms. Hence NON puts itself forward as the concretization of the biggest commercial and economic paradox in history: dealing in nothing, instead of in something, which is often just as useless but unquestionably more burdensome and perishable. At the same time, NON also becomes the realization of the ultimate artistic paradox: preference for the absence of artistic expression over its presence (especially considering the quality of much that is produced today!). Ultimately, NON is the art of absence, the lack of any art form in the material sense of the word. This doesn't mean that artistic creation must not exist, but simply that it must not be perceived using any of the 5 senses that are by now congested with the continuous and constant flow of information coming from all around us. This is because very often the deceptions produced by sight, sound, touch, smell and taste are such that they must be barred from the possibility of conditioning our way of perceiving art. It is only in complete absence of these, at times unreliable and in any case primitive, aids that we can intuit the true source of artistic creation. It is only by annulling what constantly drags us back to our primordial urges, and thus to our physical mortality, that we can access true artistic infinity. NON therefore substitutes the presence of an artistic creation with its lack, as notable in its manifestation as its presence would be. Absence, however, according NON, is even more visible than presence, since presence is not capable of representing the absolute, the nothing, the "ouden" from which "pan" originates. It can easily be claimed that the physical unavailability of a work of art and the void this creates where it is placed (or perhaps it is better to say where it is NON-placed ) is most certainly more notable since, as explained earlier, it stimulates none of the senses. Thus, considering how much our senses are constantly stimulated each day and in every way, the lack creates in our minds, at the moment of its observation, a kind of sensorial truce that allows our intellect to work without conditioning. The disengagement of the senses in the presence of a NON work allows the person experiencing it to concentrate exclusively on its real meaning by using mechanisms very similar to those of meditation. Achieving nothingness as a mental state allows spectators to be completely concentrated on the NON work and to reach a level of thought much higher than they would ever have been able to reach if they were consciously participating in the actual act of thinking while observing something specific and objective. To understand this is fundamental since each NON work must absolutely always be considered in an integrally subjective way, in such a way that it is our own Self that materializes it in our minds exactly how we desire it to be represented irrespective of any external conditioning, imposed by either the bonds of cultural order or educational legacies. NON is the art of everyone, irrespective of objective artistic or creative capacities. Each NON work is exactly how we want it to be, and each will always and inevitably correspond to individual taste.
Hence NON overcomes the barriers of personal taste, adapting its own NON-structure to the discretion of each individual, encompassing within it any requirement it is given time after time. The work of art within the concept of NON must impose itself and propose itself only as potential, what is yet to be, which means that art isn't a “must be” but a “can be”. To achieve this state the work of art must therefore not be or, better yet, be absent. In fact, NON even goes beyond the concept of torii, eliminating even the most essential structure in its path to perfection, which it pursues through the intuition of Antoine de Saint-Exupery who asserted that "Perfection is achieved, not when there is nothing more to add, but when there is nothing left to take away". NON is close to Michelangelo whose method was to eliminate everything that kept a figure imprisoned in the block of stone, and to the Japanese painter Ike No Taiga, who claimed that “drawing a blank space in which absolutely nothing is depicted is surely the most difficult task for an artist, because it is not by doing nothing that one obtains nothingness, it is by not refraining from acting that one can conjure up the void”. NON even goes beyond the Shirakawa5 bridge. The attention of those who place themselves in its view must focus itself exclusively on the void, on the esthetic of absence, on how much it can represent or contain, on how not being could instead be, depending on the subject that is contemplated or the moment in which it is observed. Note that in NON the absence is nevertheless always understood as "absolute" lack. You cannot define as NON as the absence, either temporary or permanent, of a work that was or that is physically tangible since it remains as such even if it is located in another part of the world (or cosmos?) or another time, with respect to its habitual location. For example, when in 1911 Vincenzo Peruggia stole La Gioconda from the Louvre, or when, more recently, The scream disappeared from the Munch Museum, unintentional NON's were not created, not simply because the two works of art were somewhere, but also because they were and they had been. In fact one of the fundamental laws that regulates NON establishes that NON is not, was not, and will not be. NON is what Paul Klee was desperately looking for, that which is “beyond appearance”,or rather, that which goes beyond “common terrestrial origins.”NON is what Maleviç was yearning for when he produced his painting “White on White," attempting to penetrate pictorial space with “pure primal space.” NON is everything that is hidden behind Fontana's “tagli” (slashes). NON is the subset of every possible artistic ensemble. NON brings to art the null that has already been problematic and unsettling in science and mathematics where it has an equally, if not more, fundamental role than visible reality. NON is therefore a nothing, but it is a nothing similar to zero, similar to that cardinal number that indicates the lack of any value, a value however that in a positional, decimal-based, numerical system, when added to the right of other numbers, serves to multiply them by ten. NON is the art that is innate in every human spirit. NON is all the art that has never been seen. NON is all the art that could have been but wasn't, all that can be but isn't, all that could be but will not be. Obviously the principle characteristics of NON works, their absolute physical unreality (which generates intangibility) as well as their inaudibility, prevent them from being classified according to the traditional rules of cataloguing. These rules prove themselves in any case to be wholly inadequate, even for identifying the potential position of NON within a branch of human knowledge. Because of its very composition (this term is also completely inappropriate, better perhaps to say because of its very transcendence), NON escapes any artistic, ethical, philosophical or semantic classification. This is because its affiliation with a specific area would constitute the identification of its presence and in consequence would lead to the negation of its very essence and, considering that this in itself is a negation, it would create a double negation which in turn produces an affirmation, thus negating the fundamental principle of NON . Nothingness is what most closely resembles the concept of NON, going so far as to negate by default its own existence as a concept, acknowledging itself only in terms of absence. NON is therefore absence, it is nothingness, but it is distinctly not an ultimate nothingness, a state of inertia and of inexistence, but rather it must be considered a procreative nothingness. The absence in NON must therefore never be considered as the acceptance of lack, since in NON nothingness is not absence of a presence, but the presence of an absence. Therefore be aware that in NON the notion of absence must be interpreted similarly to that of Indian shunya, which says that absence must not be considered as the acceptance of lack but as a “potential state”. NON is therefore a vital nothingness. Dynamic, constantly ready to materialize, it is what we can define as a condition in fieri.
So, is NON empty? Yes. And therefore is NON space? Indeed. But it is “primordial space.” It is a beginning and an end at the same time. It is the universe itself waiting for the Big Bang. NON is a door to the unknown, a “white hole” generated as the polar opposite of art that has by now become a “black hole”, consuming itself and everything else that lies outside its very essence. NON is a door to the unknown. NON is the tomorrow that does not exist today and that in every today that we will ever live will never be, but that we will all, however, always try to imagine. NON is what will come after. NON will always be a step beyond our presence. NON will always in the end complete itself only after us. NON is the space between the letters on this and all the pages written, without which there would only be an ink blot. In NON, therefore, nothingness is the paradigm and NON is the perfection. It is everything because from nothing everything can be created. NON is the concave in a convex world. NON is the empty that compensates the full. NON goes beyond sensorial perception. NON is supreme potential. NON is the only visual art form that can be observed with eyes closed. NON is the dogma of art. NON, in the final analysis, is definable as the perennial pregnancy and, in consequence, represents the feminine ideal, the beginning. NON is God.
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La non essence, ou plutôt l’essence de l’absence

Le NON voit dans l’absence la grande protagoniste de ce début de deuxième millénaire: il tient en effet pour absolument évident que la présence constante et redondante de "tout" dans la vie de chacun, à tout moment de la journée, crée la nécessité absolue d’absences qui lui permettent d’appréhender les présences, à la fois mieux et plus distinctement. Comme on sait, l’excès d’information, de quelque genre que ce soit, crée de la désinformation, tout devenant automatiquement et simultanément le contraire de tout. Le NON naît donc de l’exigence de réfléchir sur un phénomène de plus en plus inquiétant: l’absence d’absences à l’intérieur des choses humaines dans le monde "civil", où tout est comprimé, où tout est plein de tout, où tous semblent avoir besoin de tout, tout de suite. Pour des raisons politiques et commerciales, chaque recoin d’espace et de temps a désormais été rempli à la limite de ses capacités d’accueil. Des murs de la ville aux ex-immensités de l’éther, du réel au virtuel, tout est occupé par quelque chose. En pratique, il ne reste plus d’atolls d’absence, de zones franches, de trêves sensorielles où pouvoir se reposer l’esprit, lequel esprit n’a plus le temps matériel de générer ses propres fantaisies, puisqu’il est plein de celles des autres, incorporées de force par le nerf optique, la cochlée, les narines ou la gorge. Nous n’avons plus le temps de penser à ce que nous vivons quotidiennement, car dès demain nous devrons analyser quelque chose de nouveau, qui sera peut-être exactement le contraire de ce que nous venons d’expérimenter. Chaque chose et son contraire existent, ici et maintenant. Le NON naît donc pour signaler que le moment est venu de retenir son souffle, de freiner, de cesser de regarder ce que font les autres, ou ce qu’ils ont fait, et de faire nous-mêmes quelque chose. Il est nécessaire que nous rentrions en nous-mêmes et que nous nous occupions de ce que nous avons en nous; nous devons penser par nous-mêmes et redevenir des individus. Le NON est notre capsule de sauvetage, c’est notre espace personnel de survie. Le NON, in primis, c’est nous. Pour mieux faire entendre sa voix, le NON a choisi de se manifester en tant que mouvement/projet artistique: d’abord, parce que c’est dans le monde de l’art que nous sommes désormais en présence de l’une des manifestations les plus évidentes du susdit overload; ensuite, parce que l’art est depuis toujours la première forme de communication qui prenne le pouls des besoins d’une société. Le NON voit donc le jour comme une sorte de provocation immatérielle. Le NON est un hurlement muet qui essaye de montrer combien la culture peut être vulnérable aujourd’hui, de montrer que n’importe quel concept peut être instrumentalisé à travers la saturation de l’information : peu importe qu’il s’agisse d’un concept éthique, philosophique ou physique. De même, le NON est aussi la tentative de montrer que l’on peut souvent (et que l’on essaye de) faire passer pour de l’art ce qui n’en est pas; et que pour atteindre ce but, on en arrive à tout manipuler, y compris le néant. C’est pour cette raison que le NON veut être reconnu comme une expression artistique et qu’il se proclame lui-même "la frontière de l’art pictura " et de toute autre forme d’art visuel ou plastique. Le NON se présente donc comme la concrétisation du plus grand paradoxe commercial et économique de l’histoire: l’achat et la vente du néant, plutôt que de quelque chose, souvent tout aussi inutile, mais nettement plus encombrant et périssable. Et le NON sera aussi la réalisation du plus grand paradoxe artistique: la préférence de l’absence d’une expression artistique, plutôt que sa présence (compte tenu de la qualité de beaucoup de celles qui sont produites actuellement !).
Le NON est en définitive l’art de l’absence, c’est-à-dire le manque de toute forme d’art au sens matériel du terme. Cela ne veut pas dire que la création artistique ne doive pas exister, mais simplement qu’elle ne doit pas être perçue par le biais des cinq sens désormais engorgés d’informations arrivant à jet continu de toutes les directions possibles. De plus, les illusions produites par la vue, l’ouïe, le tact, l’odorat et le goût sont souvent si puissantes qu’il faut empêcher ces sens d’avoir la possibilité de conditionner notre manière d’appréhender l’art. C’est seulement en l’absence complète de ces auxiliaires, parfois indignes de foi et en tout cas primitifs, que nous pouvons avoir l’intuition de la véritable source de la création artistique. C’est seulement en annulant ce qui évoque constamment en nous nos besoins primordiaux, et avec eux notre mortalité corporelle, que nous pouvons accéder au véritable infini artistique. Le NON remplace donc la présence de toute création artistique par son inexistence, aussi évidente dans sa manifestation que le serait sa présence. L’absence selon le NON est donc beaucoup plus visible que la présence, puisque cette dernière est inappropriée pour représenter l’absolu, le néant, l’ qui est à l’origine du 1.
On peut même soutenir que l’indisponibilité physique de l’œuvre, et le vide que celle-ci crée là où elle est placée (peut-être vaudrait-il mieux dire "NON-placée"), est absolument plus perceptible: en effet, comme nous venons de le dire, elle ne stimule aucun sens et, étant donné qu’au jour d’aujourd’hui chacun de ceux-ci est continuellement sollicité en nous de toutes les manières possibles, elle crée dans notre cerveau au moment de son observation une sorte de trêve sensorielle qui permet à notre intellect de travailler sans aucun conditionnement. Le désengagement des sens en présence d’une œuvre NON permet à l’observateur de se concentrer exclusivement sur la signification réelle de celle-ci, en utilisant des mécanismes très semblables à ceux de la méditation. Atteindre le néant comme état mental permettra en effet au spectateur d’être totalement concentré sur la NON œuvre et d’atteindre un niveau de pensée si élevé qu’il n’aurait jamais pu parvenir à ce stade s’il avait été consciemment actif dans l’acte même de penser en observant quelque chose de spécifique et d’objectif. Il est fondamental de comprendre cela, puisque chaque œuvre NON devra être considérée toujours et absolument de manière intégralement subjective, de façon que ce soit notre propre Moi qui la matérialise dans notre esprit, exactement comme nous désirons qu’elle se présente, indépendamment de tout conditionnement extérieur, qu’il soit induit par des contraintes d’ordre culturel, ou par d’éventuels héritages de l’éducation. Le NON est en effet l’art de chacun, indépendamment de ses capacités artistiques ou créatives objectives. Chaque œuvre NON est exactement comme nous désirons qu’elle soit, et chacune d’elle correspondra toujours et inévitablement au goût de chacun.
Le NON dépasse donc la barrière du goût personnel, en adaptant sa propre non-structure au pouvoir discrétionnaire de chaque observateur, en englobant même en soi toute exigence qui se proposerait au cas par cas. L’œuvre d’art dans la conception du NON doit donc s’imposer et se proposer seulement comme potentielle, lorsqu’elle n’est pas encore, ce qui signifie que l’art ne "doit pas être", mais qu’il "peut être". Pour atteindre cette condition, l’œuvre d’art doit donc ne pas être, ou plutôt elle doit être absente. En effet, le NON va même au-delà du concept de torii, car il a éliminé également la structure la plus essentielle dans son chemin vers la perfection, en recherchant celle-ci à travers l’intuition de Saint-Exupéry, qui affirmait que "l’on obtient la perfection non pas quand il n’y a plus rien à ajouter, mais quand il n’y a rien à enlever".
Le NON est proche autant de Michel-Ange, qui avait pour objectif d’éliminer tout ce qui emprisonnait la figure dans le bloc de pierre, que du peintre japonais Ike No Taiga, qui soutenait que "dessiner un espace blanc dans lequel il n’y ait absolument rien de représenté, est certainement l’entreprise la plus difficile pour un artiste, car ce n’est pas en ne faisant rien qu’on obtient le néant, ce n’est pas en s’abstenant d’agir que l’on peut évoquer le vide". Le NON franchit le pont Shirakawa et l’attention de ceux qui se placent en sa présence doit se concentrer exclusivement sur le vide, sur l’esthétique de l’absence et sur ce que cela peut représenter ou contenir, sur le fait que le non être pourrait être en fonction du sujet qui le contemple, ou de l’instant où on l’observe. Remarquons bien que dans le NON, l’absence est toujours considérée comme manque "absolu". En effet, on ne peut pas considérer comme NON l’absence, momentanée ou définitive, d’une œuvre qui a été ou qui est physiquement tangible et qui reste d’ailleurs telle, même si elle est placée à n’importe quel autre endroit du monde (cosmos?) ou du temps, par rapport à son emplacement habituel. Par exemple: quand Vincenzo Peruggia a volé La Joconde au Louvre en 1911, ou quand, plus récemment, Le Cri a disparu du Munch Museum, il ne s’est pas créé des NON involontaires: en effet, non seulement ces deux œuvres d’art se trouvaient quand même quelque part, mais surtout elles étaient et avaient été. En effet, une des lois fondamentales qui règlent le NON établit que celui-ci n’est pas, n’a pas été et ne sera pas.
Le NON est ce que Paul Klee cherchait désespérément, ce qui est "au-delà de l’apparaître", c’est-à-dire ce qui va au-delà de la "commune racine terrestre". Le NON est ce que recherchait Malevitch quand il a réalisé le "carré blanc sur fond blanc", en tentant de trouer l’espace pictural en direction du "pur espace originaire". Le NON est tout ce qui se cache derrière les "déchirures" de Fontana. Le NON est le sous-ensemble de tout ensemble artistique possible. Le NON apporte dans l’art ce néant qui est déjà problématique et inquiétant dans la science et dans les mathématiques, et qui joue un rôle tout aussi fondamental – si ce n’est encore plus important – dans la réalité apparente. Le non est donc un rien, mais un rien comme le zéro, comme ce nombre cardinal qui indique le manque de toute valeur, mais qui, ajouté à la droite d’autres chiffres dans un système de numération positionnel sur base décimale, sert à multiplier ceux-ci par dix. Le NON est l’art inhérent à tout esprit humain. Le NON est tout l’art jamais vu. Le NON est tout l’art qui aurait pu être mais qui n’a pas été, tout l’art qui peut être mais qui n’est pas, tout l’art qui pourrait être mais qui ne sera pas.
Évidemment, les caractéristiques principales des œuvres NON – leur incorporéité absolue (d’où leur intangibilité) ainsi que l’impossibilité d’être entendue – ne permettent pas de les classer en suivant des canons de catalogage traditionnels. Ces derniers sont d’ailleurs aussi absolument inadaptés pour déterminer la position éventuelle du NON à l’intérieur d’une branche quelconque du savoir humain car, en raison de sa constitution même (mais dans ce cas aussi, le terme est absolument inapproprié: il vaudrait peut-être mieux dire en raison de sa transcendance même), le NON échappe à toute définition artistique, éthique, philosophique ou sémantique. Et cela parce que son appartenance à quelque domaine que ce soit reviendrait à identifier sa présence et conduirait par conséquent à la négation de son essence même: étant donné que celle-ci est elle-même une négation, on parviendrait à une double négation qui donnerait vie à une affirmation, en niant ainsi le principe fondamental du NON. Le néant est ce qui se rapproche le plus du concept de NON, qui nie à priori jusqu’à sa propre existence en tant que concept, en ne s’admettant lui-même qu’en tant qu’absence. Le NON est donc absence, il est néant; attention, toutefois : ce n’est absolument pas un néant définitif, un état d’inertie et d’inexistence, car il faut le considérer comme un néant procréant. L’absence dans le NON ne doit donc jamais être considérée dans l’acception de manque, car dans NON le néant n’est pas absence d’une présence, mais présence d’une absence. Attention, donc: dans le NON, la notion d’absence doit absolument être interprétée comme celle du shounya indien, si bien que, comme nous l’avons dit, elle ne doit absolument pas être considérée dans l’acception de manque, mais seulement en tant qu’ "état potentiel". Le NON est alors un néant vital, dynamique, constamment prêt à se concrétiser, c’est ce que l’on peut appeler une conditio in fieri.
Le NON est donc vide? Oui. Le NON est donc espace? Certainement. Mais c’est "l’espace primordial", c’est à la fois un début et une fin, c’est l’univers lui-même dans l’attente du Big Bang. Le NON est donc une porte sur l’inconnu, un "trou blanc" généré aux antipodes d’un art désormais devenu un "trou noir" qui engloutit en soi, non seulement soi-même, mais aussi tout ce qui est étranger à sa propre essence. Dans NON, le néant est donc le paradigme et NON est donc la perfection, c’est le tout car à partir du néant, tout peut être généré. Le NON, en dernière analyse, est définissable comme grossesse éternelle; par conséquent, il représente le maximum féminin, l’origine. Le NON est le concave dans un monde convexe. Le NON est le vide qui compense le plein. Le NON va au-delà de la perception sensorielle. Le NON est le virtuel suprême. Le NON est la seule forme d’art visuel qui puisse être observée les yeux fermés. Le NON est le dogme de l’art. Le NON est Dieu.
Installazione intitolato "L'Uno / The One" da Stefano Davidson, Opera d'arte originale
L'Uno / The One - Installazione, 39,4x39,4 in ©2009 da Stefano Davidson - Pensiero su aria / Thought on air
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