Nasce il 24 novembre 1898 in una famiglia della piccola borghesia senese. Fin da piccolo estroverso e dotato di una vivace intelligenza visiva, è portato verso il disegno libero con il carboncino, ma il padre, professore di lettere, cerca in tutti i modi d'indirizzarlo verso studi umanistici. Completati gli studi secondari si iscrive all'università. Interventista come molti giovani del suo tempo, partecipa a soli diciannove anni come ufficiale di artiglieria di campagna alla Grande Guerra.
Alla fine del conflitto riprende a Siena gli studi universitari e nel 1920 si laurea in giurisprudenza; inizia a lavorare presso lo studio dell'avvocato Dini a Colle Val d'Elsa, di dove era originaria la famiglia e dove aveva trascorso l'infanzia presso i parenti; nel tempo libero dal lavoro si dedica alla sua vera passione: la pittura.
Sono questi momenti, fuori da schemi prefissati, nei primi tentativi con la pittura e l'incisione, dove sente di più l'esigenza di dare un senso alla sua vita. Questo periodo molto tormentato del primo dopoguerra trova in Maccari terreno molto fertile per il suo carattere vivace, beffardo e polemico, che lo porta sia a partecipare agli scontri sociali nel paese, sia come personaggio non secondario alla marcia su Roma del 1922.
Nel 1924 viene chiamato da Angiolo Bencini a curare la stampa della rivista Il Selvaggio, dove gli vengono pubblicate le sue prime incisioni. Dopo alcuni anni di convivenza tra lavoro al giornale e lo studio legale, agli inizi del 1926 lascia la professione forense per assumere la direzione del Selvaggio che terrà fino al 1942.
Il Selvaggio, dichiaratamente fascista intrasigente, rivoluzionario e antiborghese. Per Maccari, come anche per Malaparte, lo squadrismo non deve smobilitarsi prima di aver annientato completamente il vecchio Stato borghese. Deve compiere una rivoluzione palingenetica e costruire un nuovo tipo d' italiano, completamente in antitesi con quello dell' Italia liberale.[1] Ma quando Maccari si renderà conto che il terreno politico è ormai impercorribile per il fascismo intransigente, a causa dell' osteggiata normalizzazione portata avanti da Mussolini, Il Selvaggio cambierà rotta per puntare sul terreno culturale. Per inaugurare questo percorso scriverà l'articolo di fondo intitolato "Addio al passato", che descrive il nuovo indirizzo del Selvaggio, una rivista che deve dedicarsi all'arte, alla satira e alla risata politica, seguendo una tradizione paesana e beffarda all'apparenza ma in realtà sottilmente colta.[2]
Con il trasferimento della redazione del Selvaggio nel 1925 da Colle di Val d'Elsa a Firenze, Maccari collabora con Ardengo Soffici, Ottone Rosai e Achille Lega. Nel frattempo, negli anni che vanno dal 1927 al 1930, si fa conoscere al grande pubblico come pittore partecipando a varie mostre nazionali.
Sempre nel 1930 Maccari lavora a Torino a La Stampa come caporedattore e ha come direttore lo scrittore Curzio Malaparte.
La sua presenza nel mondo cultur...