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Mara Lombardi

Ritorna alla lista Aggiunto il 8 mar 2010

COME HO DIPINTO RED PASSION 4

IL PROCESSO CREATIVO DEL MIO GRUPPO INTERNO
Come ho dipinto Red Passion 4

IL BISOGNO
Il mio sguardo verso il mondo esterno è attento a cercare l’energia ovunque, la passione amorosa, la forza della vita che permea la Natura; il mio intento è di ingrandirla, esaltarla, renderla visibile con immagini metaforiche realizzate con tecniche tradizionali. Desidero esprimere un senso estetico e per far questo ho scelto l’immagine della Rosa, il fiore della passione per eccellenza, che ha una struttura adeguata alla mia idea dell’evolversi dell’energia. Intendo rappresentare questo concetto in modo elegante e scevro da inutili fronzoli: la sintesi tra la rappresentazione figurativa e la rappresentazione astratta.

IL COMPITO
Nel 2007 avevo iniziato un progetto artistico che prevedeva la realizzazione di una serie di immagini con il soggetto della passione amorosa, utilizzando la forma - quasi sempre - di una rosa . Ricostruisco ora il processo creativo-operativo della realizzazione di Red Passion 4.

Nei mesi precedenti al marzo 2008 avevo già dipinto i primi tre quadri, sempre con il soggetto Rosa, e volevo dipingerne un altro che celebrasse il rosso: la lava incandescente, il fuoco della vita, la forza della Terra. In quel periodo acquistavo ogni tanto delle rose di vari colori, per poterle osservare il più possibile e allenarmi a trovare una sintesi della forma. Tuttavia il mio desiderio espressivo era di staccarmi dal concetto della rosa classica, evocandola, facendone un pretesto per rendere la luce e le ombre in modo bidimensionale. Al mattino, con la luce piatta, fotografavo le rose sul terrazzo di casa: erano i primi giorni di un marzo tiepido. Ricordo bene, osservando le fotografie scattate allora, che nel pensiero all’interno della mia testa (un dialogo interno) udissi dei commenti, delle domande, delle parole, dei ricordi quasi scolastici: questa folla parlava, in maniera normativa, e mi diceva cosa non si deve fare:
- un classico quadro “di genere”
- un quadro fatto pensando che debba piacere a qualcuno
- un quadro che faccia pensare “toh guarda, ha dipinto una rosa”
- un quadro senza spessore, molle.
Riconosco in questo dialogo interno anche i dettami del mio professore al liceo: voleva che noi ricercassimo sempre, senza però accontentarci mai, senza compiacimenti, senza soddisfazioni – si può sempre “fare di meglio”: una sofferenza continua. La parte emotiva invece è silenziosa ma urgente, preme per incominciare e vuole iniziare a dipingere in fretta, vuole saltare i passaggi progettuali, freme, vuole agire senza osservare.

L’ATTESA
Decido invece di aspettare, ho dei brividi al solo pensiero di incominciare, sento un’eccitazione profonda, che ritengo sia dovuta al fatto di sapere che sto per innamorarmi profondamente del progetto . In quei giorni ero prossima a partire per un viaggio e non volevo rischiare di sbagliare per pentirmi poi di aver lavorato in fretta e rovinato tutto. Parto, e nella città in cui mi trasferisco abito in una casa grande, dove ho molto spazio, se voglio, per dipingere. Nella strada adiacente alla casa c’è un colorificio dove acquisto delle piccole tele e del colore rosso molto particolare, “alyzaryne”, mai visto prima.

Acquisto delle rose per meglio ispirarmi e faccio delle prove di stesura del colore utilizzando anche delle paste indurenti e, con una spatola, plasmo prima la forma dei petali della rosa e poi ne traccio i contorni. Inizio dal centro e con movimenti veloci e precisi definisco il bocciolo per poi aprire verso l’esterno a spatolate più larghe e piatte. Ho paura di sbagliare, mi sento inferiore alle mie possibilità, mi giustifico negli errori dicendomi che sono solo delle prove. Lo stato emotivo è da una parte eccitato, dall’altra a tratti sento una sorta di resistenza, di vorrei, ma non posso, inteso come non riuscirò a fare qualcosa di bello, e mi giustifico confortandomi: sono solo delle prove. Ho il freno a mano tirato.

IL CONFLITTO INTERNO
Mentre dipingo sento nel mio pensiero interno una voce precisa che domanda ma perché lo fai? Reagisco con l’azione: ma sono in conflitto: ci sono due “Mara” che litigano tra loro, la Mara razionale che considera vari aspetti negativi, come la perdita di tempo, l’illusione di un successo, la mancanza di senso dell’esperienza artistica e l’altra Mara, quella emotiva, che non ha voce, cerca di non ascoltare, è silente e operativa, la Mara che sa che non può non farlo. Ritengo che questo conflitto interno sia stato poi determinante per l’elaborazione positiva, per passare attraverso tutte le fasi emotive in una sorta di esercitazione e allenamento fisico per riconoscere il timore e superarlo, e rafforzare l’intenzione (la confusione e la sofferenza del cambiamento).

Nel dipingere queste prove su tele piccole, plasmo prima la forma, e poi le delineo, miglioro la mia abilità: è il movimento della mano che plasma il vortice anche se solo a due dimensioni. Però le prove con questo rosso misto a gel sono troppo lucide, non rendono l’idea dell’incandescenza che ho in mente. Tuttavia la forma si sta facendo più sicura, anche perché ora so quello che non farò: procedo per eliminazione di tecniche fallimentari.

IL FARE
Dopo dieci giorni rientro a casa e riguardo le fotografie che avevo scattato prima di partire, scelgo tra le tante due che posseggono il colore e la forma che combinati rispecchiano la mia idea: il colore è particolare, con petali double-face arancione e giallo, e la forma è perfetta, il bocciolo non ancora aperto. Però non C’è nulla d’incandescente, non si può simulare il rosso fuoco con il giallo paglierino o il rosa chiaro: ma so che il colore ben steso e un fondo blu creeranno il contrasto della luce che sorge nel buio. Scelgo una tela di un metro quadro e traccio il centro che sarà il mio punto di partenza, e il cerchio esterno che sarà il mio limite di azione oltre il quale non devo spingermi, sono i limiti necessari, il “setting”.

(Prima di iniziare però faccio almeno 10 giri quasi propiziatori - ma in realtà dettati dall’ansia dell’inizio. Un viaggio all’interno dell’appartamento, con tappe tra la cucina, il bagno, il frigorifero, lo studio, e ritorno … è davvero un “percorso del cervello”: so che se sbaglio l’inizio, il recupero sarà arduo). Finalmente mi decido, prendo il coraggio a due mani e con movimento unico, utilizzando una pasta di gesso plastico parto dal centro e do la forma: un grande bocciolo tondo con un paio di petali che si aprono. Avrò lavorato per circa dieci minuti in apnea, senza sosta, senza pensare, e me li ricordo bene: l’occhio andava rapido dalla foto alla tela, mi faceva male la schiena perché ero china, ma veloce e decisa. Ricordo di non aver dormito molto quella notte: avrei voluto che il gesso fosse asciutto per poter stendere già il colore. Invece ho dovuto far passare due giorni pensando intanto alle fasi successive:
• fare attenzione al colore acrilico, che asciuga subito
• considerare se usare il colore ad olio che sfuma, ma non asciuga mai
• scegliere quale blu usare per il fondo scuro
• fare attenzione a stendere la vernice protettiva
• profilare bene lo smalto in oro senza sbagliare.
Riprendo a lavorare sulla tela: ma si sono create delle crepe nel gesso. Presa dallo sconforto, rifletto e colgo da questa apparente crisi l’opportunità per rendere bene l’idea dell’incandescenza, e invece che riempire le crepe con gesso e levigare poi con la carta vetrata, applico il colore a tutta la superficie: colore giallo chiaro nelle crepe e sopra l’arancione scuro: sembra proprio l’incandescenza della lava.

Continuo nei giorni seguenti, dipingendo a sfumature l’interno del bocciolo con un’attenzione maniacale, rimango sveglia fino a tardi, mi fa male la schiena, il gomito, la mano, ma non mi importa, sta venendo come sento io. Sono quasi alla fine o almeno così mi sembra. Termino colorando il fondo di blu, mi prende lo sconcerto: il quadro mi sembra rovinato nell’insieme, è banale, è scontato, una delusione. Tecnicamente l’arancione e il blu sono un perfetto abbinamento, sono colori complementari e il risultato dovrebbe essere gradevole. Si riapre il conflitto interno, vengo presa dall’angoscia, ho voglia di lasciar perdere e di buttare via tutto. Mi arrabbio con me stessa per essere stata frettolosa, sono ossessionata dal desiderio di fare qualcosa che “piaccia”, mi sembra di avere una folla che mi osserva e mi giudica: entro in crisi, so che non può finire così .

LA RIFLESSIONE
Attendo per qualche giorno, guardo il dipinto e rifletto, e arriva l’idea giusta: riportare la rosa nel suo tono di colore, riambientarla: la rosa rossa con il fondo blu sembra infatti staccata, sola, isolata, sorge dal nulla. Coloro quindi il blu dello sfondo di rosso, in modo che lo sfondo resti scuro e dello stesso tono: il colore risulta mitigato e omogeneo, potente.

Ma il dipinto non è finito: devo dipingere l’interno dei petali in oro. Adesso la paura si tramuta in apnea operativa: uso il pennello sottilissimo, so di non poter fare sbavature, né macchie, non è correggibile, né ricopribile. Dipingo trattenendo il fiato, passo dall’esaltazione alla depressione e viceversa …. Al termine traccio il più piccolo tondo nell’esatto centro del quadro, ed è completo, terminato: appagante, soddisfacente.

Non so dire quale sia stato il momento in cui io abbia deciso che il dipinto fosse finito, niente da aggiungere o da modificare. Niente era definito a priori, ma so che ad un certo punto l’immagine prima concepita e ora partorita si è sovrapposta alla sensazione dell’immagine interna, la mia: e l’angoscia della bellezza non c’è più.


MI SPIACE NON POSSO INSERIRE DELLE FOTOGRAFIE PER FARTI MEGLIO CAPIRE IL PROCESSO. SE VUOI VEDERLE CONTATTAMI E TE LE INVIERO

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