Le acconciature più belle del Rinascimento

Le acconciature più belle del Rinascimento

Olimpia Gaia Martinelli | 26 ago 2023 9 minuti di lettura 0 commenti
 

Qualcuno li ha ma vuole cambiargli colore, altri li vogliono più corti, chi non li ha più piange ricordandoli, oppure opta, ormai rassegnata, per il più classico riporto o parrucchino, di cosa parlo?

L'ABBRACCIO (2014)Fotografia di Alessandra Favetto.

Di cosa stiamo parlando?

Qualcuno li ha ma gli vuole cambiare di colore, altri li desiderano più corti, chi non li ha più piange ricordandoli, oppure opta, ormai rassegnato, per il più classico riporto o parrucchino, di cosa sto parlando? Facile: dei capelli! Ma addesso vi domando qualcosa di più difficile: sono sempre stati così importanti i capelli nella storia dell’essere umano, o forse, prima, quando la specie era ben più giovane, essi erano semplicemente considerati come una sorta di folta e vistosa pelliccia, da lasciare libera di esprimersi senza ricorrere ad acconciature o parrucchieri? In realtà non sappiamo se, come nel celebre cartone dei Flintstones, gli uomini delle caverne si mettessero in tiro pettinandosi e infilandosi ossa nelle chiome, ma è certo come, nell’antico egitto, i capelli, sistemati e immortalati nelle tombe faraoniche, rappresentassero un chiaro simbolo di benessere, nonché di status sociale, tanto che venivano ben mantenuti mediante una pratica igenica a base di olio di lino, che veniva mischiato a olio di oliva e radice di saponaria, oppure di cenere legna. Per di più, all’epoca erano già in auge le tinture, che venivano effettuate mediante l’uso dei frutti di bosco, della corteccia dell’albero, di minerali, di insetti e di semi di piante, volte principalmente a riprodurre la cromia più in voga al tempo: il castano scuro. Passando rapidamente all’età medievale, e quindi tralasciando secoli di storia, che lasciamo volare nel vento come capelli perduti e ricordati, forse, solo da chi li possedeva e ora non più, è bene mettere in luce come durante questo periodo il capello venne associato alla magia e alla superstizione, poiché inteso come un’estensione esterna e materiale dell’anima, che all’occasione veniva trattata con pozioni magiche, se non addirittura bruciata, per evitare, che, dopo essere stata tagliata, entrasse in posesso di coloro che volevano attaccare il malocchio. In aggiunta, la superstizione e il bigottismo ecclesiastico dell’arco di tempo in questione associò l’atto di acconciarsi i capelli alla pratica di una gestualità alquanto peccaminosa, tanto che era preferibile portare i capelli in maniera semplice, trasmettendo rigore e moralismo, piuttosto che perdere del lussurioso tempo ad aggiustarseli. A proposito del colore, invece, il biondo era quello preferito dagli uomini medievali, semplicemente per il fatto ch’esso era concepito come  simbolo di purezza dell’anima per eccellenza, tanto che chi non aveva la chioma di questo colore provvedeva frequentemente a schiarirla con impacchi di camomilla o mediante lunghe esposizioni al sole, da affincarsi all’applicazione sulla cute di erbe e sali metallici e acidi, che ossidavano il capello. Siamo giunti, finalmente, e quindi probabilmente anche con qualche capello in meno, forse perduto nel corso del passare dei secoli sopra menzionati, all’epoca oggetto di nostro interesse, ovvero il Rinascimento, periodo in cui, facendo riferimento alla bellezza classica, tornarono in auge le ciocche di capelli legate e attorcigliate in morbide acconciature, pronte a rievocare e suscitare il sentimento amoroso. Proprio quest’ultimo sorge appunto spontaneo dall’osservazione di alcuni capolavori pittorici dell’epoca, che, analizzati in ordine cronologico, porteranno a farci conoscere la successione delle mode del capello, all’interno del momento storico della rinascita per eccellenza. 

Jan van Eyck, Ritratto di Margaret van Eyck , 1439. Olio su tavola, 41,2 cm x 34,6 cm. Groeningemuseum, Bruges.

Piero del Pollaiolo, Ritratto di giovane donna, 1470-1472. Tecnica mista su tavola, 45,5×32,7 cm. Museo Poldi Pezzoli, MilanoMuseo Poldi Pezzoli, Milano.

Raffaello, Ritratto di Elisabetta Gonzaga , c. 1504-1505. Olio su tavola, 52,5×37,3 cm. Galleria degli Uffizi, Firenze.

Tiziano, La bella, 1536. Olio su tela, 89×75,5 cm. Galleria Palatina, Firenze.

Tra il 1435 e il 1470, capolavori come il Ritratto di donna con un uomo al davanzale (1435-36) di Filippo Lippi, il Ritratto di Margareta van Eyck (1439) di Jan van Eyck, il Ritratto di giovane donna (1460) di Rogier van der Weyden, nonché il Ritratto di fanciulla (1470) di Petrus Christus, testimoniano l’usanza di coprire, con specie di cappelli e di veli, i capelli, mentre a partire all’incirca dal 1470 pare, osservando altri dipinti, essersi diffuso il costume di portare studiatissime acconciature, volte ad accomunare l’operato di Piero del Pollaiolo e a quello di Sandro Botticelli, autori degli intricati capelli di Ritratto di giovane dama (1470-1472) e Ritratto di una giovane donna (1480-85). Ciò nonostante, il secondo maestro si prodigò anche a sfatare quanto appena affermato nel suo più celebre capolavoro, ovvero ne La nascita di Venere, tempera su tela, in cui i capelli sciolti del soggetto principale vengono addirittura scomposti da una brezza leggera, nonché sapientemente usati, nella metà inferiore del dipinto, per coprire il pube della pudica dea. Giungiamo adesso alle mode del 1488 mediante la contemplazione de la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci, ritratto di Cecilia Gallerani contraddistinto da un abbigliamento curatissimo, anche se non eccessivamente sfarzoso, che è accompagnato, nell’acconciatura, dalla disposizione di un laccio nero sulla fronte, usato per tenere fermo un velo dello stesso colore dei capelli, che sono stati raccolti in un coazzone. Una visione analoga la ritroviamo in un capolavoro poco più tardo, ovvero Ritratto di Elisabetta Gonzaga del 1505, in cui l’effigiata, colta a metà figura in una posa frontale dal sapore arcaico, presenta i capelli lasciati sciolti, ma sapientemente decorati dalla presenza di uno scorpione-gioiello tenuto sulla fronte, volto ad indicare al monile a forma di S (Scoprione), che l’umanista Baldassarre Castiglione, ne Il libro del Cortegiano, ricorda nelle proprietà della duchessa. Infine, voglio riassumere il periodo che va dal 1533 al 1536 facendo riferimento al Ritratto di gentildonna nelle vesti di Lucrezia (1533) di Lorenzo Lotto e La Bella (1536) di Tiziano, entrambi accumunati da un’acconciatura volta a cingere la testa dell’effigiata. Descrivendo l’opera più nota del Vecellio, l’olio su tela in questione parrebbe immortalare un soggetto che, per il gusto rinascimentale, è stato appositamente concepito per dar forma alle proporzioni femminili ideali, personificate, secondo lo storico dell’arte Moritz Thausing, dalle sembienze di Eleonora Gonzata, o da quelle di Isabella d’Este, tenendo presente il punto di vista Leandro Ozzola, esponente di molteplici tentativi d’identificazioni a tutt’oggi comunque falliti. Ciò che è certo è che la fanciulla raffigurata su di uno sfondo scuro, catturata mentre indossa abiti eleganti, presenta un’acconciatura alquanto elaborata, resa realisticamente dalla perizia tecnica del maestro italiano, che, mediante la variazione della pennellata, ora più ruvida ora più levigata, fu abile nell’ottenere i più vari effetti di rifrazione luminosa. Infine, il racconto sui capelli prosegue direttamente nella contemporaneità, mediante il punto di vista degli artisti di Artmajeur, quali: Yaroslav Kurbanov, Young Park e Marta Zawadzka.

IL DESTINO (2022) Dipinto di Yaroslav Kurbanov.

Yaroslav Kurbanov: Il destino

È bene sottolineare come in molte occasioni, all’interno della narrazione pittorica, il destino, menzionato anche dal titolo dell’opera dell’artista di Artmajeur, veniva immortalato mediante le fattezze delle tre Moire, che, assimilate alle Parche romane o alle Norne norrene, rappresentano figure mitologiche, il cui compito è quello di tessere il filo del fato di ogni uomo, segnandone l’inizio, per reciderlo al momento della sopraggiunta dell’ineluttabile dipartita. Nel caso di The fate però, il pittore ha raffigurato solo una donna bendata, dando voce al suo intimo pensiero, secondo il quale, il destino rimane, aimè, inconoscibile, tanto che Yaroslav Kurbanov arriva ad affermare, in un certo senso, anche l’inutilità del ruolo dei cartomanti, dichiarando quanto segue: “Gli indovini e i cartomanti sono sempre stati molto richiesti, perché le persone vogliono guardare nel loro futuro e conoscere le risposte a ogni tipo di domanda. Ma la domanda principale che tutti si pongono è: qual è il mio destino? Il destino è "sempre cieco" e nessuno sa cosa sia.” A questo punto pare difficile continuare il discorso in questione, in quanto, per ognuno di noi, anche in base a credenze di tipo religioso o mistico, l’oggetto della nostra discussione appare alquanto labile,  relativo e incerto. Passando ad un argomento più concreto, e sicuramente più affine alla tematica dei capelli, è d’obbligo mettere in luce come la chioma rossa della protagonista di The fate riporti a determinati valori simbolici, che, sopratutto nell’arte occidentale,  si sono legati all’elemento igneo, nonché alla sfera erotica e alla dimensione alchemica, tanto che nel Rinascimento, il rosso era la tonalità dello zolfo e della Rubedo, ovvero della fase della Grande Opera, che sanciva il compimento finale delle trasmutazioni chimiche, culminanti nella realizzazione della pietra filosofale e nella conversione dei metalli vili in oro. Allora, forse proprio seguendo quest’ultimo concetto, è possibile pensare come il colore dei capelli della protagonista di The fate possa, nonostante gli occhi bendati dell’effigiata elo scetticismo dell’autore, effettivamente condurci ad una più alta forma di conoscenza.  

NEW CHALLENGE MINDSET (2023) Dipinto di Young Park.

Young Park: Nuova mentalità da sfida

Un corpo parzialmente nudo e affaccendato con se stesso, quindi essenzialmente non concepito per entrare in contatto visivo col fruitore, suscitandone il desiderio, viene ritratto in un ambiente intimo, nell’istante in cui si prodiga a dar vita a un movimento spontaneo e naturale, facente parte della toilette quotidiana: pettinarsi i capelli, che, tenuti fermi con una mano, paiono assumere le forme di una coda, volta a partire all’altezza dell’orecchio. Allo stesso modo, sarebbe possibile sostituire la sua chioma con la figura un violino, in quanto il movimento delle mani della giovane donna varierebbe di poco nel suonare, continuando ad essere scandito da una prospettiva fotografica angolare e colta dall’alto. Questa descrizione si prodiga a costruire nella vostra mente l’immagine di Donna che si pettina di Degas, opera della maturità del maestro francese, datata tra il 1887 e il 1890, pronta a testimoniare come, prima di New challenge mind set di Young Park, altri pittori avevano reso l’intimo rapporto che si genere tra le mani e i capelli. A proposito dell’opera dell’artista di Artmajeur, invece, facendo proprio riferimento alle parole della stessa Park, ella descrive il dipinto con questa sorta di poesia autobiografica: 

“Tutto questo è la mia storia.
È la mia consapevolezza e la mia percezione.
L'esposizione a nuovi ambienti, a emozioni familiari
e a situazioni strane mi fa pensare e preoccupare e mi porta nell'abisso delle emozioni.
Quel chala è sempre il punto di partenza.
Voglio descrivere quei momenti sconosciuti che inavvertitamente attraversiamo,
o le emozioni di quel momento, o quelle cose che è uno spreco perdere.”

Quanto sopra rivela come alcuni dei gesti più semplici, forse perché meno bisognosi di una grande attenzione, possono dirigerci in un profondo stato meditativo, dove l’introspezione, le emozioni e il ricordo regnano sovrani...


INFANTA IN ROSA (2023)Dipinto di Marta Zawadzka.

Marta Zawadzka: Infanta in rosa

Il soggetto reso dal pennello di Marta Zawadzka è la celebre Margherita Teresa di Spagna, Regina di Germania, Arciduchessa d'Austria e Regina d'Ungheria e Boemia, nonché figlia del re Filippo IV di Spagna e sorella maggiore piena di Carlo II, l'ultimo degli Asburgo di Spagna. La giovinetta in questione non è soltanto famosa per tutti i suddetti titoli, ma anche, e forse principalmente, per essere stata la figura centrale del famoso dipinto de Las Meninas di Diego Velázquez, oltre che il soggetto di molte altre opere successive del medesimo maestro. Di fatto, proprio l’acconciatura da ella riportata in Infanta in pink, ci potrebbe far intuire come l’artista di Artmajeur abbia probabilmente voluto riproporre, ovvimente in una personalissima chiave Pop-astratta,  volta a cambiare l’orientamento all’effigiata, il noto Infanta Margarita Teresa in a Pink Dress, olio su tela del 1660, che cattura la Margherita in questione in abito rosa, cristallizzando nel supporto di tela uno dei personaggi chiave della società spagnola dell’epoca, mediante la realizzazione di un’attenta descrizione dell’abito e del drappeggio, che diventano una sorta di secondo soggetto immortalato. Nella storia dei capelli, invece, la plurimenzionata effigiata risulta essere altrettanto presente, poiché protagonista di opere, in cui i parrucchieri dell’epoca si sono alquanto sbizzarriti, come, ad esempio: Full-length portrait of the Infanta Margarita Teresa, the Empress (1666), by Gerard Du Chateau, Infanta Margarita Teresa, aged 14 (166) by Juan Bautista Martínez del Mazo e Ritratto di autore sconosciuto (1662–1664), attualmente esposto al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

N.B: Infanta Margarita Teresa in a Pink Dress (1660) potrebbe in realtà anche essere attribuito a Juan Bautista del Mazo!

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