Il busto: storie a confronto

Il busto: storie a confronto

Olimpia Gaia Martinelli | 16 ott 2022 7 minuti di lettura 0 commenti
 

 Il busto, che seppur nato nella Grecia ellenistica, raggiunse la sua massima popolarità nel mondo antico romano, ha subito variazioni interpretative durante i secoli, riproponendosi anche nella contemporaneità, periodo in cui, grazie alle più moderne tecnologie, ha preso forma anche in versione 3d...

Mahé, Aux heures où les corps se percent de lumière, 2022. Olio su tela, 40 x 40 cm.

Busti: l’arte romana e Modigliani a confronto

Al fine di comprendere le peculiarità del busto, genere rappresentativo prevalentemente scultoreo, ma anche pittorico e fotografico, risulta essere estremamente efficace, nonché più stimolante e coinvolgente, l’approccio diretto a tale tematica, volto a coinvolgere il lettore nell’analisi di un esempio concreto della suddetta tipologia di ritrattistica. Pertanto, porto ad esempio un noto capolavoro conservato presso i Musei Capitolini della “Città Eterna”, ovvero il Bruto capitolino, busto bronzeo con occhi in avorio e pasta vitrea, che, ritrovato a Roma durante il XVI, venne già identificato all’epoca come la raffigurazione di Lucio Giunio Bruto, mitico fondatore della Repubblica romana, nonché antenato di Marco Giunio Bruto, ovvero il plurimenzionato assassino di Giulio Cesare. Secondo le più appurate fonti questa scultura fu lasciata in eredità alla capitale d’Italia da Rodolfo Pio da Carpi, studioso e collezionista italiano, che nel XVI secolo aveva costituito una ricca collezione di manufatti antichi. Successivamente, il Bruto capitolino lasciò Roma per la Ville Lumière, città che raggiunse durante la campagna napoleonica di fine Settecento, periodo in cui il generale Bonaparte usò i significati cultuali e politici associati all’arte romana antica per rafforzare la sua immagine di leader Europeo. Infatti, proprio la suddetta scultura fece parte della processione trionfale di Parigi, evento che Napoleone organizzò dopo l’invasione dell’Italia settentrionale, durante il quale vennero messi in mostra i bottini d’arte sulle note di una canzone che esprimeva concetti nettamente imperialistici, quali: “Roma non è più Roma. Ora è a Parigi”. Fortunatamente, l’opera fu restituita a Roma nel 1814 circa, ovvero dopo la sconfitta di Napoleone e il prodigioso intervento di Antonio Canova, artista italiano tra i più famosi dell’epoca, che venne investito da papa Pio VII dell’incarico di recuperare i capolavori saccheggiati nei centri culturali dello Stato Pontificio.

Bruto capitolino (busto con integrazioni), 300-275 a.C. circa. Bronzo. Roma: Musei Capitolini.

Amedeo Modigliani, Busto di giovane donna, 1911. Olio su tela, 55 x 38 cm.

Tornando al busto, la rappresentazione realista del personaggio indica, oltre che un’accurata ricercatezza fisiognomica, una forte volontà di esprimere le connotazioni psicologiche dell'effigiato, quali la gravitas e la tipica tensione del patriziato romano. Inoltre, proprio tale interesse per la più minuziosa resa del dato reale, accompagnato da una forte attenzione per i particolari, mette decisamente in relazione il capolavoro con la ritrattistica ellenistica dell’inizio del III secolo a.C. Pertanto, il Bruto capitolino potrebbe risalire proprio a quest’ultimo periodo, epoca di grande espansione culturale e politica della storia romana. Il genere del busto non si è però esaurito con l’arte antica, tanto che è possibile confrontare, anche se in modo alquanto audace, lo stile realistico e l’equilibrio compositivo romano con un punto di vista estremamente personale, allungato e stilizzato, ovvero quello di Amedeo Modigliani, florido interprete della suddetta tipologia di ritratto, che ha analizzato in capolavori come Busto rosso (1913), Busto di donna (1906-19 circa), Busto di donna nuda (1907) e Busto di giovane donna (1911). A proposito di quest’ultimo dipinto, l’opera raffigura, molto probabilmente, un intenso ritratto della poetessa russa Anna Achmatova, moglie del letterato Nikolaj Stepanovič Gumilëv e grande amica del pittore livornese, che la ritrasse in svariate occasioni. A proposito dello stile del busto, la figura ritratta, a differenza di quella di Bruto, è resa attraverso un interessante incastro geometrico, rappresentato dalla sovrapposizione del collo cilindrico sulla testa ad ovale, sormontati da un’acconciatura altamente riconducibile al mondo antico. In aggiunta, la modalità di esecuzione degli occhi, celata dall’estendersi di una tonalità scura, rimanda ad un tratto distintivo dell’indagine anatomica di Modigliani, volta ad alludere al rifiuto di dipingere le pupille dei personaggi di cui l’artista non conosceva l’anima. Di conseguenza, il tema della “cecità” separa il mondo antico da quello moderno, in cui l’uomo, resosi conto della sua stessa complessità, può anche rifiutare di concepire la rappresentazione realista come un’esplicitazione esaustiva del proprio essere. 

Tetiana Bogdanova, Blueberry pancakes, 2020. Olio su tela, 60 x 40 cm.

Bogdan Dide, Luna, 2022. Acrilico / olio su tela di lino, 92 x 73 cm.

Il genere del busto: alcune nozioni

Giungendo infine alle più classiche definizioni, il busto è una rappresentazione scultorea, pittorica o fotografica della parte superiore della figura umana, volta a riprodurne la testa e il collo, ma anche il petto, le spalle e, in casi più rari, le mani e le braccia. In particolare, quando nell’opera è compresa anche la parte alta del petto, essa prende il nome specifico di mezzo busto, mentre se la scultura include solo la testa si parla di testa. Il busto, che seppur nato nella Grecia ellenistica, raggiunse la sua massima popolarità nel mondo antico romano, ha subito variazioni interpretative durante i secoli, riproponendosi anche nella contemporaneità, periodo in cui, grazie alle più moderne tecnologie, ha preso forma anche in versione 3d. Il moderno culto dei busti è inoltre riscontrabile nella ricca raccolta di opere scultore di Artmajeur, esemplificato dall’indagine artistica di Katerina Pilnikova, Priscilla Vettese e Cécile Duchêne Malissin.

Katerina Pilnikova, Ceramica al settimo cielo, 2018. Scultura in ceramica, 26 x 21 x 10 / 2.50 kg. 

Katerina Pilnikova: Ceramica al settimo cielo

Facendo riferimento alle parole di Pilnikova, Ceramica al settimo cielo rappresenta un giovane in stato di euforia, frase che ci rimanda obbligatoriamente al principio esposto da un discusso artista contemporaneo, ovvero Jeff Koons, il quale sostiene fermamente come il vero valore dell’arte sia “emotivo” piuttosto che monetario, cioè insito in quella capacità di trasmettere del sano ottimismo. Sicuramente, la gioiosa opera dell’artista di Artmajeur soddisfa tale requisito, che, indelebilmente legato al positivo messaggio lanciato dall’attitudine del protagonista, potrebbe essere riconducibile al medesimo sentimento volto ad animare Bourgeois Bust, scultura Neo-pop del sovra menzionato Koons. Infatti, quest’ultimo busto del 1991, che raffigura lo stesso artista in compagnia della sua ex moglie Ilona Staller, venne realizzato dal maestro per la mostra Made in Heaven, evento che esplorò il concetto di amore, sentimento spesso responsabile dei più alti stati di euforia. Pertanto, è possibile immaginare l’effigiato di Ceramica al settimo cielo come reduce di un incontro amoroso nello stile di Bourgeois Bust, ovvero carico di una tensione erotica tale da lasciare segni a posteriori, consentendo di sperimentare quella gioia e soddisfazione, che spesso solo l’innamoramento concede al genere umano.

Priscilla Vettese, Scultura di Diana Pop, 2022. Scultura, vernice a spruzzo / acrilico / pennarello / stencil / resina su altro supporto, 30 x 16 x 11 cm / 3000,00 g.

Priscilla Vettese: Scultura di Diana Pop art

L’opera Pop di Priscilla Vettese rappresenta un’inedita ed originale reinterpretazione, realizzata nel “formato” del busto, dell’iconica scultura del Louvre intitolata la Diana di Versailles, copia romana marmorea del I-II secolo d.C., eseguita a partire da un originale bronzeo greco attribuito a Leocare (325 a.C. circa.). Tale capolavoro in marmo, scoperto probabilmente a Tivoli (Italia), si trova oggi nel museo parigino, poiché venne donato da Papa Paolo IV al re Enrico II di Francia nel 1556. Quest’ultimo espose inizialmente l’opera nel castello di Fontainebleau e, successivamente, presso il Louvre, museo in cui il marmo tornò dopo una breve parentesi passata nella Reggia di Versailles, location dalla quale esso ha probabilmente ereditato parte del suo nome. A proposito della descrizione della scultura, La Diana di Versailles raffigura la dea della caccia in piedi, che, con lo sguardo fiero rivolto verso destra, è concentrata ad osservare la freccia estratta dalla faretra, mentre la mano sinistra regge un arco ormai incompleto, posto al di sopra di un capriolo immortalato nell’atto di correre. Rispetto a questa immagine fortemente narrativa, l’opera dell’artista di Artmajeur risulta essere più sintetica ed immediata, poiché persegue la finalità di trasformare il capolavoro in una sorta di celebrità mediatica, avente come conformazione figurativa un formato più facilmente riproducibile, moltiplicabile e, di conseguenza, commerciabile e “venerabile” dalle masse.

Cécile Duchêne Malissin, Souvenir fragile XI, 2022. Acrilico su tela, 65 x 54 cm.

Cécile Duchêne Malissin: Souvenir fragile XI

Souvenir fragile XI è un ritratto volto a sintetizzare un caso limite del genere del busto perché, oltre a ritrarre le mani e le braccia, fa anche intravedere parti dei fianchi, che restano però sapientemente celati dalla florida vegetazione. Lo stretto rapporto che intercorre tra il protagonista dell’opera e la natura, raffigurato come una sorta di fusione tra le due essenze, mi riporta alla mente un capolavoro in cui si realizza una medesima simbiosi, ovvero Vertumno (1590) di Giuseppe Arcimboldo. A proposito del dipinto italiano, Arcimboldo realizzò l’opera quando fece ritorno nella sua Milano, ovvero dopo aver trascorso ben venticinque anni presso la corte degli Asburgo. Nonostante questo spostamento, l’artista rimase al servizio di Rodolfo II, che raffigurò proprio nelle vesti di Vertumno, dio delle stagioni volto a riunire la frutta e la verdura di tutti i periodi dell’anno, precedentemente raccolte nelle opere de Le Quattro stagioni. Proprio nel rispetto dello stile di quest’ultime: il naso di Rodolfo II viene diventa una pera, le guance sono due enormi pesche e la capigliatura è un mix di frutta e spighe d’orate. Infine, tale opera, proprio come l’Estate, l’Autunno, l’Inverno e la Primavera, persegue l’intento di celebrare la potenza della casa asburgica, rappresentandone il dominio non solo sulle famiglie rivali, ma su tutto il creato, compresa la frutta e la verdura. Di conseguenza, l’opera dell’artista di Artmajer potrebbe anche alludere alla sovranità esercitata dall’uomo sulla natura, raffigurata all’estremità inferiore del corpo dell’effigiato.

Visualizza più articoli
 

ArtMajeur

Ricevi la nostra newsletter per appassionati d'arte e collezionisti