Alessandro De Michele
Born in Milan, De Michele moved to Rome after completing his schooling and graduated in architecture there, focussing his studies on the relation between architecture and film. His career subsequently spanned both these two fields.
He has written and directed the documentary films Imago - L'immaginario di Federico Fellini and The journey of the Kalibani.
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1 opera da Alessandro De Michele (Selezione)
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Riconoscimento
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Biografia
Born in Milan, De Michele moved to Rome after completing his schooling and graduated in architecture there, focussing his studies on the relation between architecture and film. His career subsequently spanned both these two fields.
He has written and directed the documentary films Imago - L'immaginario di Federico Fellini and The journey of the Kalibani.
- Nazionalità: ITALIA
- Data di nascita : data sconosciuta
- Domini artistici:
- Gruppi: Artisti Italiani Contemporanei
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Formazione
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RICORDARE ETTORE SCOLA
Nasce spontaneo il pensiero che con lui se ne sia andato l’ultimo dei grandi maestri del cinema italiano: un cineasta sapiente, appassionato, raffinato e sensibile, che in 50 anni di coerente e rigorosa attività, “ridendo e scherzando”, ci ha regalato pagine indimenticabili di grande cinema, che resteranno nella Storia della settima arte e nel cuore del grande pubblico.
Credo che ogni retorica celebrativa, ogni altisonante commemorazione (se pur in alcuni casi spontanea e sentita) avrebbe messo a disagio un uomo come Scola perché inesorabilmente in contrasto con quella sua sincera inclinazione a ridimensionare ogni iperbole espressiva, ogni affermazione di eccezionalità, riportando il discorso sul piano della vita di ogni giorno, dell’amore per il proprio lavoro, dell’interesse per ciò che è il destino comune: lui che, come pochi, ha raccontato splendori e miserie di un’umanità sempre sorprendente e meritevole di attenzione, sia che occupi salotti borghesi o degradate baraccopoli, condomini popolari o terrazze panoramiche. E il filtro attraverso il quale riusciva a dare credibilità e coerenza al suo sguardo, credo che fosse proprio quell’elemento che in qualche modo lo accumunava al grande amico Fellini: una sottile e calorosa ironia, che non diventava mai sarcasmo o snobistico distacco, ma un “ironia-simpatia” che era afflato, vicinanza e partecipazione con ciò che raccontava.
Queste considerazioni mi sono state suggerite da un recente, personale ricordo.
Qualche mese fa ho avuto la fortuna di poterlo incontrare con il pretesto di raccogliere una testimonianza-intervista per un nuovo progetto su Fellini nel quale ero stato coinvolto. Ero piuttosto dubbioso sul fatto di proporgli di riparlare dell’amico regista, pensando che nel realizzare il suo filmChe strano chiamarsi Federico, avesse in qualche modo chiuso i conti con quell’argomento e quei ricordi, ed invece si rese disponibile.
Nonostante l’invadenza della troupe e la precarietà del suo stato di salute, ci accolse nella sua casa: era visibilmente provato e affaticato, ma rimasi sorpreso per quanto fossero intatti il piglio e il timbro della sua voce ed immutata la lucidità delle sue risposte. L’intelligenza e la spontaneità del suo argomentare mi indussero presto ad abbandonare la mia scaletta per seguire, con colloquiale piacevolezza, il filo del suo discorso sincero e profondo, ma estraneo a qualunque luogo comune o retorica.
Le premesse alla sua disponibilità erano state di non affaticarlo troppo, ma per me fu difficile concludere nonostante fosse trascorsa quasi un’ora senza che me ne accorgessi: avrei voluto restare lì, avvolto dai toni caldi e profondi della sua voce, e sentirlo raccontare ancora per molto del Marcaurelio, di Fellini, del cinema italiano, dei sui film, dei suoi attori… e domandargli di quell’inquadratura, di quella battuta, del piano sequenza iniziale di Una giornata particolare, dei movimenti di macchina in Brutti sporchi e cattivi, e molto altro ancora, ma non era il caso, non c’era tempo.
Sentivo però di dover in qualche modo testimoniargli quel senso di riconoscenza, di gratitudine che si prova per artisti che come lui ci hanno rivelato qualcosa di importante, che prima non sapevamo… Cercai un po’ goffamente le parole più semplici che mi parevamo più adeguate, si limitò a sorridermi con espressione soddisfatta ma senza alcun compiacimento, poi subito si alzò dalla poltrona.
Mentre mi accompagnava alla porta, la sua mano appoggiata sulla mia spalla, mi disse di aver avuto l’impressione di aver fatto “una delle interviste più sensate degli ultimi anni”. Mi congedò con queste parole che per me furono un regalo, senza immaginare che se ne sarebbe andato così presto.
L’ENEIDE DI KRYPTON – un nuovo canto
(Teatro Argentina – Roma, 21/23 aprile 2015)
L’Epos di un popolo è il potente crogiuolo da cui attingiamo i modelli più profondi del nostro funzionamento psichico, come le radici dell’anima che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo: immagini mitiche a cui ritorniamo per riflettere sulla vita e sulle teorie che formuliamo su di essa.
In questo senso la riproposta di uno dei miti fondativi della nostra cultura occidentale, quale l’Eneide virgiliana, mai è sembrata così pertinente ed appropriata ai nostri tempi di disorientamento e perdita.
Storie di guerre e umane tragedie di esuli in fuga, disperati approdi sulle coste di terre della speranza, ci riportano prepotentemente alla tragicità di un presente in cui la sacralità dell’accoglienza riservata agli stranieri non ci garantisce più la benevolenza degli dei né la realizzazione del loro disegni.
Lo spettacolo di Giancarlo Cauteruccio, che dopo trent’anni viene riproposto al Teatro Argentina in una versione riveduta ed asciugata, ci spiazza e ci emoziona non solo per queste contingenti coincidenze sull’attualità, ma per la forza espressiva di un linguaggio che, scavalcando la concezione drammaturgica del racconto di parola, (punto essenziale della ricerca teatrale di quegli anni), affida all’immagine e alla suggestione del suono tutta la potenza evocativa di un territorio poetico fuori dal tempo.
Lo fa con grande effetto, coniugando l’arcaico con la tecnologia virtuale (allora in fase embrionale di sperimentazione) l’elaborazione del suono con il verso poetico. Questa combinazione sapientemente orchestrata contribuisce a fare, dell’esperienza teatrale in atto, un’esperienza squisitamente sensoriale e al tempo stesso profonda in quanto capace di schiudere visioni che fanno della scena il luogo del nostro immaginario più astratto al quale abbandonarsi con il piacere di perdersi.
In linea con questa scelta di concentrazione espressiva che si fa “performance – teatrale -concerto” è l’esecuzione live dei musicisti dei Litfiba, (autori ed esecutori delle splendide musiche) e dello stesso Cauteruccio, che portando al centro della scena il suo corpo “goffo e provato dal tempo”, fa risuonare le parole virgiliane con la potenza della sua voce.
In questo modo il timbro sporco e vibrante di suggestioni arcaiche sembra infatti squarciare le ondeggianti acque virtuali che dal boccascena invadono la platea e ci sommergono con la forza di un rito spettacolare che, giocando sulle sovrapposizioni, sfugge alle convenzionali definizioni.
Non a caso questa emozionale immersione, in un non-racconto teatrale fatto di quadri scenici che, come frammenti riportati alla luce del tempo ci parlano senza una logica continuità, raggiunge la sua massima forza espressiva laddove la forza della parola e del suono si fanno immagine e dove l’immagine evoca reconditi spazi di significato in cui la parola non ha accesso, con esiti di astrazione assolutamente convincenti.
In questo senso appena più dissonante ci è apparsa la performance canora di Ginevra Di Marco, non certo per la qualità della sua esecuzione, ma perché una certa didascalicità del verso lirico della canzone ci riporta su piani più razionalmente accessibili e, per questo, forse meno emozionanti.
È in questa suggestiva combinazione di racconto epico e allucinazione post-moderna, in cui la tecnologia si inserisce come residui diurni nella tessitura di un sogno, che l’Eneide di Krypton ha mantenuto la forza evocativa di una rappresentazione fuori dal tempo, capace di palarci di ciò di cui abbiamo sempre bisogno, illuminandoci sul nostro domani.
Per dirla con un verso di Pound: “Rendi forti i nostri sogni – perché il nostro domani non perda coraggio – a lume spento”
Omaggio a Federico Fellini documentario "Imago-L'immaginario di Federico Fellini"
Il documentario percorre la sfera dell'immaginario di Federico Fellini e affronta la straordinaria intensit della sua vena artistica, attraverso una serie di testimonianze inedite di personalit che sono state particolarmente vicine al maestro e l'aiuto di quel linguaggio delle immagini di cui il regista stato poeta, profeta e cantore. Gli intervistati sono: lo psicoanalista Mario Trevi, confidente delle sue fantasie pi recondite; Padre Angelo Arpa, amico e consigliere fraterno per oltre quarant'anni; lo sceneggiatore Tonino Guerra e lo scenografo Rinaldo Geleng, collaboratori fedeli; il suo segretario fiduciario Enzo De Castro e la sua segretaria di edizione Norma Giacchero, che lo hanno seguito per oltre 25 anni; l'attrice Olimpia Carlisi e lo scrittore Gianfranco Angelucci, amici e collaboratori per oltre vent'anni; il poeta Andrea Zanzotto e il latinista Luca Canali, collaboratori e compagni fraterni in molti film.
www.alessandro-de-michele.it
Imago, l'immaginario di Federico Fellini (2008)
Regia: Leopoldo Antinozzi, Alessandro De Michele; origine: Italia; produzione: Fondazione Interregionale Europa, Comunit Mondiale; produzione esecutiva: Cometa Produzione Cine Tv s.n.c. di Ivana Mattei, Almaz Film Productions SA; durata: 110'
Il documentario percorre la sfera dell'immaginario di Federico Fellini e affronta la straordinaria intensit della sua vena artistica, attraverso una serie di testimonianze inedite di personalit che sono state particolarmente vicine al maestro e l'aiuto di quel linguaggio delle immagini di cui il regista stato poeta, profeta e cantore. Gli intervistati sono: lo psicoanalista Mario Trevi, confidente delle sue fantasie pi recondite; Padre Angelo Arpa, amico e consigliere fraterno per oltre quarant'anni; lo sceneggiatore Tonino Guerra e lo scenografo Rinaldo Geleng, collaboratori fedeli; il suo segretario fiduciario Enzo De Castro e la sua segretaria di edizione Norma Giacchero, che lo hanno seguito per oltre 25 anni; l'attrice Olimpia Carlisi e lo scrittore Gianfranco Angelucci, amici e collaboratori per oltre vent'anni; il poeta Andrea Zanzotto e il latinista Luca Canali, collaboratori e compagni fraterni in molti film. A partire dalla scena emblematica in cui il personaggio del film mai realizzato da Fellini, Giuseppe Mastorna, entra in campo e si ferma davanti all'immagine della grande impalcatura su cui si sorregge il profilo della cattedrale di Colonia,il documentario alterna le testimonianze personali con le sequenze dei film e le immagini di repertorio. Si segue uno sviluppo ragionato secondo i passi che il regista abitualmente compiva alla realizzazione di ogni sua opera: Film da fare - L'idea di un film - I disegni e le facce - L'inizio delle riprese - Il film concluso. Contestualmentea la scena iniziale del Mastorna subisce un'evoluzione tale da sottolineare l'essenza fantastica delle immagini felliniane, di volta in volta ricostruite nel grande Studio 5 di Cinecitt, concepito, nel nostro documentario, come il crogiolo alchemico in cui Fellini riusciva a trasformare il sogno in realt e la realt in sogno. (Leopoldo Antinozzi, Alessandro De Michele)
Kalibani è un gruppo teatrale tedesco formato da attori con handicap fisici o mentali, fondato da Klaus Erforth, regista per cinquant’anni nei più importanti teatri della Germania, prima dell’Est, poi unita, collaboratore di Heins, Besson e Wekverth, per esaltare e far conoscere l’innato talento dei suoi protagonisti. Kalibani viene da Calibano, il mostruoso servitore di Prospero della Tempesta di Shakespeare. Ecco il caso di un nome che è tutto un programma. Il film di De Michele racconta il viaggio della compagnia da Berlino a Lublino per la rappresentazione della Classe morta di Tadeusz Kantor, con sosta al campo di concentramento nazista di Majdanek dove furono sterminati, oltre agli ebrei, tutti coloro considerati incompatibili con la diabolica idea di “perfezione” hitleriana: omosessuali, zingari e handicappati.
Sul pullman che lascia Berlino e attraversa la frontiera con la Polonia gli attori parlano della loro esperienza in palcoscenico: “Nel nostro mondo vengono considerate normali cose che fuori di qui non lo sono, perciò ne faccio parte”, “Questo è un altro modo di vivere, mentre fuori non c’è compensazione” e ancora: “Siamo esseri umani e chi non è stato amato non può essere capace di amare, è meraviglioso riscoprire il contatto con il corpo, toccare l’altro, la pelle, la propria nudità”.
Appassionatissimo del cinema di Federico Fellini, De Michele lo ha visto, studiato a fondo e con il regista-mito ha avuto un carteggio: carissimo signor Fellini gli scriveva e il maestro rispondeva, gli spedì anche uno dei suoi famosi disegni. Fellini, Federichino per gli amici di giovinezza, l’artista che profetizzò il futuro con La dolce vita e si calò senza ritegno negli abissi di sé con Otto e mezzo, se ne infischiava delle regole e, torrenziale nell’immaginazione, nella percezione, nei ricordi, nei desideri e nell’intelligenza, governava ad arte giostre vorticose di situazioni, colori, bizzarria e forme femminili che avrebbero travolto chiunque altro. L’insolito clan Kalibani, vibrante di emozione, coraggio, vulnerabilità, alle prese con zoppie, cecità, nanismo, sindrome di Down e ogni sorta di impedimento, è un po’ felliniano: nel dolore, nell’espressività, nello sprigionare la contentezza per la conquista di esserci, eccome, a dispetto della sciagura.
De Michele ha girato il suo film con l’intento incrollabile di schivare il patetico e, sostenuto dalla colonna sonora di Enrico Melozzi, ha puntato sulla vitalità della compagnia che contrasta il senso di morte della pièce di Kantor. Nella commozione che fa sussultare gli interpreti durante la visita al campo di sterminio di Majdanek , un momento di verità pura, nella sarabanda di occhi bistrati dalle tinte arcobaleno, che è spettacolo puro, nel volto aristocratico di un attore dallo sguardo cieco, si mette in viaggio anche lo spettatore, senza una meta prestabilita: in qualche luogo della ragione o del cuore di certo arriverà.
Alessandro De Michele
Architetto disegnatore regista
Milanese di nascita e romano di adozione. Si laurea in Architettura a Roma, indirizzando le sue ricerche nello studio del rapporto tra architettura e cinema. Alterna esperienze di progettazione in campo architettonico e cinematografico.
Per maggiori informazioni visitate il sito ufficiale:
www.alessandro-de-michele.it
Born in Milan, De Michele moved to Rome after completing his schooling and graduated in architecture there, focussing his studies on the relation between architecture and film. His career subsequently spanned both these two fields.
He has written and directed the documentary films Imago - L'immaginario di Federico Fellini and The journey of the Kalibani.