Chiatte (2023) Fotografia da Graziano Alghisi

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Opera facente parte di un progetto fotografico sul lago d'Iseo. lascio in descrizione la presenazione del libro che raccoglie tutte le opere. presentazione 65, 186, 251. No, non si stanno dando i numeri. La qui presente sequenza di cifre non è casuale, ma rappresenta, rispettivamente, la superficie, l’altitudine[...]
Opera facente parte di un progetto fotografico sul lago d'Iseo. lascio in descrizione la presenazione del libro che raccoglie tutte le opere.

presentazione

65, 186, 251.

No, non si stanno dando i numeri. La qui presente sequenza di cifre non è casuale, ma rappresenta, rispettivamente, la superficie, l’altitudine e la profondità uno dei laghi più suggestivi d’Italia.
Affettuosamente chiamato dai lombardi Lac d’Izé o Sebìn, il lago d’Iseo è uno specchio d’acqua che pullula di vita, un luogo fatto incontri, esperienze e opportunità.
Perciò, definirlo in poche parole sarebbe riduttivo, se non addirittura offensivo, considerando anche la storia millenaria che si porta sulle spalle.
Il Lac d’Izé, del resto, affonda le sue origini in tempi antichissimi, quando i ghiacciai regnavano su buona parte della Terra. E proprio a loro il Sebino deve la sua origine.
È realmente stato il ghiaccio a scavargli tra le rocce delle Prealpi una dimora, una conca a forma di serpentina, sinuosa e sottile, ad eccezione della sua parte centrale: lì, infatti, un allargamento ospita tre isole, Monte Isola, Loreto e San Paolo, capaci di frapporsi all’acqua come punti di sospensione.
Dalla sua nascita in poi, anno dopo anno, il lago è sempre stato lì, incuneato tra quelle che oggi sono le province di Bergamo e Brescia, testimone silenzioso di mille eventi. Nelle sue vicinanze si sono intrecciate pagine importanti di storia e nel corso dei secoli il Serbino ha attirato molti popoli, ha richiamato gente da oriente e da occidente, da settentrione come da meridione.
Le prime testimonianze dell’uomo risalgono al paleolitico, mentre bisogna aspettare l’Età del Ferro per vedere segni inequivocabili della presenza dei Camuni nella zona. Loro, tuttavia, non sono stati gli unici a popolare questi territori.
Anche gli Etruschi si sono spinti fin sotto le Alpi e hanno avuto modo di conoscere il Sebino, così come i Romani dopo di loro. Per di più, dopo la caduta dell’Impero Romano sono giunti da oriente i Longobardi, mentre da occidente ha fatto capolino Carlo Magno. E ancora Federico Barbarossa così come la Repubblica di Venezia hanno messo radici attorno alle sponde del lago. Per non parlare di tutto un susseguirsi di conflitti, dalle aspre contese tra guelfi e ghibellini fino a battaglie per l’unità d’Italia, che hanno interessato la regione.
Fortunatamente i conflitti rappresentano solo una piccola parte degli eventi che hanno interessato la zona.
Merito della sua bellezza, e forse della sua posizione strategica, a ponte tra monti e pianura, nel corso dei secoli il lago d’Iseo è stato anche in grado di catturare l’interesse di uomini d’arte e di scienza. Da
pittori come Romanino a Francesco Hayez, da Antonio Canova a Leonardo da Vinci, sono in molti ad aver fatto tappa da queste parti nel corso della loro vita, per non parlare di visitatori nativi di terre molto più lontane, che si sono concessi lunghi soggiorni sulle sponde del lago Serbino. È il caso, per esempio, di Friedrich Chopin.
Il grande compositore ha trascorso anni lungo le rive del Sebino e, sebbene alcuni attribuiscano la sua permanenza alla scrittrice Amantine Dupin, anche il lago ha senza ombra di dubbio influito nella scelta. Quasi come la “maga Circe” della situazione, il Lac d’Izé ha ammaliato il musicista, lo ha trattenuto accanto a sé, ispirandolo nel comporre sonate e notturni; inoltre, chissà quante volte le acque discrete e silenziose del lago hanno cullato i suoi pensieri e sono stati la colonna sonora della sua burrascosa storia d’amore...
La bellezza e la tranquillità del luogo, quindi, sono innegabili. In più, a renderlo così speciale contribuiscono anche climi e paesaggi differenti tra loro, talvolta quasi antitetici, che convivono lungo le sponde del lago dando dinamicità, creando un connubio unico al mondo.
La varietà di specie animali che popolano boschi e campi nei dintorni è immensa mentre sott’acqua trote, anguille, pesci persici e molti altri con le loro pinne ne increspano la superficie finché nuotano. Anche il regno vegetale non è da meno: ulivi e viti, alberi da frutto, abeti, larici e castagneti si trovano a vivere insieme attorno ad uno stesso luogo. Sembra paradossale ma, chiudendo gli occhi nel mezzo del bosco, in alcuni momenti si potrebbe perfino riuscire ad annusare profumo di Franciacorta.
Ancora oggi lì attorno c’è vita e movimento e, sebbene dopo l’unificazione del nostro Paese il lago non sia più stato sfondo di battaglie particolarmente famose, due regni, quello animale e quello vegetale, lottano instancabilmente, e da chissà quanto, uno accanto all’altro per ritagliarsi uno spazio adatto a loro.
Se solo gli uomini combattessero con la stessa tenacia...
Mentre piante e animali, nonostante le difficoltà, vogliono rimanere vicino al lago, non si può dire altrettanto delle persone che vi vivono in prossimità. È come se gli esseri umani si fossero arresi di fronte alle molteplici sfide che vivere in un territorio così affascinante, ma al tempo stesso fragile, comportano. Non si tratta di semplici supposizioni, i dati lo confermano: infatti, si riscontra un calo demografico galoppante e fortemente influenzato da uno spopolamento massivo delle zone limitrofe al lago, e sfortunatamente non si ravvisa all’orizzonte un’inversione di tendenza. In alcune occasioni si potrebbe perfino pensare che gli abitanti del posto non riescano più a scorgere la bellezza e tutte le potenzialità del territorio in cui sono nati e cresciuti.
A ciò si aggiunge un’amara constatazione: la svalutazione del lago da parte di chi vive popola il territorio non è la sola minaccia, anzi. L’indifferenza e la scarsa considerazione spesso vanno di pari passo con maltrattamenti, abusi, folli progetti che mirano a deturpare completamente il paesaggio nonché a rendere ancora più faticosa la vita di chi ancora lotta per preservare il lago.

Colonne di cemento alte quanto abeti, paraboliche che toccano il cielo, incuria, scavi che minano la stabilità del terreno e disboscamento sono solo alcuni dei crimini commessi contro il lago prealpino. Oltre a ciò, la minore notorietà del Serbino rispetto a laghi vicini, più conosciuti e frequentati, contribuisce a renderlo vulnerabile, rappresenta un limite nella sua salvaguardia e, di conseguenza, rischia a minarne il suo delicato equilibrio.
Perciò, impegnarsi per proteggere il lago contro disastri ambientali, naturali o commessi dall’uomo, non basta. C’è una seconda, ma altrettanto importante sfida da affrontare: dare visibilità ad un lago già vulnerabile e che rischia altrimenti di essere messo in disparte, se non dimenticato.
Da qui l’idea di dare voce a questa bellezza naturale, di mettere in luce nel bene e nel male ciò che è il lago d’Iseo e di svegliare, per quanto possibile, le nostre coscienze. Dopotutto, come riporta una delle opere più note di Francisco Goya, “il sonno della ragione genera mostri” (e nel nostro caso anche mostri edilizi).
Il progetto
Una volta presa la decisione di affrontare la questione nel modo più completo possibile, la prima questione da risolvere è stata in che modo raggiungere tale scopo. La fotografia si è rivelata la risposta più sensata.
Si usa dire che una fotografia valga più di mille parole e qui ne sono state raccolte molte. Del resto, gli argomenti da trattare sarebbero stati fin troppo numerosi e articolati e nemmeno una penna esperta potrebbe rendere loro giustizia.
A proposito di penne esperte, ci viene in aiuto la grande scrittrice Isabel Allende. Lei stessa ha ammesso e riconosciuto la grandezza della fotografia affermando come una bella fotografia fosse più potente di pagine e pagine scritte spiegandone anche la ragione: secondo la Allende, infatti, la fotografia è in grado di raccontare storie, rivelare luoghi, eventi e stati d’animo. Stando alle sue parole, in una fotografia non rimangono impresse semplici immagini, e non si può darle torto.
Osservando alcune immagini è possibile udire l’acqua che si infrange sulla roccia, il rumore delle barche, il sibilo del vento tra fronte degli alberi. Le fotografie possono perfino profumare: alcune hanno l’odore lacustre tipico di uno specchio d’acqua, altre il dolce profumo di erbe alpine, altre ancora sanno di quotidianità, di cibo, ma anche di cemento. Più efficaci di molti giri di parole, le immagini riportano sensazioni ineffabili al nostro tatto.
Perciò, la fotografia non poteva che essere lo strumento migliore per descrivere a pieno il Lach d’Izé.
Dopodiché, una volta fatta chiarezza sulle ragioni e sulla forma d’arte più idonea per raccontare il Sebino, il passo successivo è stato disporre un piano d’azione, comprendere quale fosse la strategia migliore per attuare e portare avanti il progetto.

Dopo varie riflessioni, alla fine la scelta è ricaduta sul bianco e nero. Una scelta controversa, è innegabile, ma necessaria.
Sicuramente agli occhi di molti rinunciare a tutte le sfumature di colore offerte dal lago e dal paesaggio circostante potrebbe sembrare un azzardo, se non addirittura una pazzia. Eppure, una ragione c’è. Dopotutto, per dirla alla Jean Baudrillard, “il colore de-drammatizza, il bianco e nero è più carico di sensi”.
Più di una semplice provocazione, scegliere di utilizzare il bianco e nero per certi aspetti è stata una sfida. A conti fatti, tuttavia, rinunciare al colore si è rivelata la decisione migliore per meglio veicolare il significato di questo racconto per immagini.
Senza il colore, ciò che resta del lago è la sua autentica bellezza, senza fronzoli, senza distrazioni, senza che altri dettagli possano distogliere l’attenzione dai soggetti immortalati, dalla carica emotiva di un episodio catturato dalla macchina, dal senso ultimo di un’immagine.
Tolto il primato al colore, ciò che rimane è la dicotomia per eccellenza, il contrasto tra bianco e nero, tra due forze opposte tra loro e talvolta quasi inconciliabili.
Indicatori di luce e tenebre, di totalità e completa assenza, questi due colori (o non colori) sono dotati anche una forte carica simbolica dal momento che, per certi versi, vanno a riflettere il rapporto dell’uomo con il lago d’Iseo. Una relazione, quella allo stato attuale, altalenante, fatta di alti e bassi, nella quale si passa da una certa indifferenza ad uno sfruttamento estremo, ben oltre le sue possibilità. Eppure, come si può notare prestando maggiore attenzione, tra bianco e nero passano mille sfumature di grigio, in queste fotografie così come nella vita.
Il fondamento su cui poggia tutto il progetto è che chiunque sfogli questa galleria di immagini non si limiti ad ammirare la bellezza della natura o ad indignarsi di fronte a scene meno idilliache.
La speranza su cui si radica tutto il progetto è che ogni persona possa scorgere, nella scala di grigi di ogni scatto, sfumature, ispirazioni, intuizioni per poter rendere giustizia a questo gioiello tutto italiano, gemma e scrigno di tesori al tempo stesso, per riscoprirlo, per preservarlo, per imparare giorno dopo giorno ad amarlo in modo autentico.

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Graziano Alghisi, artista fotografo, nasce nel 1980 in provincia di Brescia, Italia. Fin da piccolo si è interessato alla musica ed è rimasto in questo universo fino all'età di trent'anni. Il mondo della[...]

Graziano Alghisi, artista fotografo, nasce nel 1980 in provincia di Brescia, Italia. Fin da piccolo si è interessato alla musica ed è rimasto in questo universo fino all'età di trent'anni.

Il mondo della fotografia lo ha sempre affascinato, ma non l'ha mai considerato seriamente. Decide quindi di mettersi alla prova frequentando corsi e studiando i grandi maestri della fotografia. Riesce così ad esprimere, attraverso il linguaggio fotografico, ciò che vuole comunicare.

Con la sua arte cerca di fermare il tempo, di catturare un momento unico e fugace, perché una volta scattata la foto, è già passato e non tornerà più.

Vive in un piccolo paese della pianura bresciana, tra il lago d'Iseo, il fiume Oglio, le colline della Franciacorta e la bassa pianura dove, in alcuni punti, il tempo sembra essersi fermato da tempo.

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