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Maria Irene Vairo

Ritorna alla lista Aggiunto il 4 apr 2009

presentazione

La mia arte è lontana dagli stereotipi del mercato,si basa sull'intuizione e sulla complementareità di ricerca ed
espressione artistica.

Presentazione critica:
Arte visiva come tempo narrante

Io credo, malgrado tutto ciò che si potrebbe dire in contrario e in parte giustamente, che conoscere il temperamento, i sentimenti e i pensieri, la reattività immediata di un artista nella vita quotidiana, porti a conoscere gli impulsi profondi della sua stessa attività artistica. Anche se è vero che una cosa è la vita immediata e un’altra la complessione fisico-psichica e storica che guida l’ispirazione invisibile a uscire alla luce in forme visibili e da vedere. Io per l’appunto non ho conoscenza del vivo rapporto della persona Maria Irene Vairo con il suo lavoro d’artista. Posso dunque, viceversa, tentare il passaggio dalla considerazione dell’opera alle sue motivazioni, sia esplicite che implicite, nell’artista stessa. Vorrei provarlo in forma di una quasi-narrazione che mi sembra di poter cogliere nel movimento evolutivo dell’opera intorno a un nucleo fondante.
La vicenda mi appare essere questa: è come se l’essere (o un essere) umano tentasse di creare accostamenti, e amicizie e fusioni tra materie a primo impatto estetico reciprocamente avverse, come pietre e metalli, metalli e vegetali, e tra pieni e vuoti, geometria e disordine, calore e freddezza – avversione che può espandersi e giungere, ci vien fatto d’immaginare, fino ai viventi. Forse non era così, non doveva esserci ripugnanza reciproca tra le materie come tra gli esseri nell’universo iniziale e magmatico. Ma appunto nell’universo iniziale v’era solo fusione e non distinzione e molteplicità. Pare che identità e distinzione dei molteplici esseri e sostanze si trovino a esser costrette e sempre in pericolo fra i due poli della fusione e della separazione ostile; e che soluzioni intermedie come interpenetrazione, convivenza e amicizia siano ardue da attingere.
Ogni vivente a diversi gradi animato da qualche coscienza, e l’uomo di più, l’artista e l’uomo di conoscenza più di tutti, tentano di instaurare tale amicizia, con esiti che permangono sempre incerti e sospesi, talora e per breve tempo vincenti.
Nel lavoro di Irene Vairo io ravviso una simile vicenda, anzi è proprio il suo lavoro che me ne ha ispirato il racconto. Esso ha tre periodi più intensi e decisivi che, se non erro, si raccolgono intorno a tre anni: 2005, 2009, 2013, in cui si alternano pitture e sculture con prevalenza delle ceramiche. A partire dal 2000 fino a culminare nel 2005 troviamo una tematica geometrico-vegetale mossa per lo più da un’esigenza di tenere in ordine il mondo e, se necessario, di ricostruirlo (esempio di tale esigenza Flowers in the yellow); e qui vanno ricordati gli studi e la professione di architetto dell’autrice. Interessante e particolarmente risolto o sereno è a mio avviso Embroideries, pittura e grafica su carta, perché tiene insieme un mondo di istanze diverse, compresi i suoi interstizi e fragilità che non destano paura. Man mano però le fasce vegetali si spezzettano, le forme si fanno aguzze. Tra 2005-06 abbiamo sculture come Antro, Taczictac, La mano: è il tempo delle forme a spigoli vivi, che riluttano alla rotondità, alla pienezza, si ritraggono, è necessario trapanare, ricorrere ai vuoti per dare forma; e credo sia pure tempo di lotta nell’intimo dell’autrice. Una scena, a mio avviso, calmamente drammatica d’incontro tra forme individuali è la scultura Insieme (2006). Ne viene un mondo sghembo, un mondo obliquo, retrattile. Che talvolta assume una ritrosia femminea, finendo in ornamento. Oppure, davanti alla resistenza, viene scatenata una sorta di tempesta di fuoco o d’acqua e vento in cui le differenze sembrano annegare. Assistiamo ai tratti violenti di un armamentario che si direbbe “domestico”: si forma una emozionalità umano-oggettuale, ancora nel segno direi del femminile.
È poi del 2007 Shine, una campitura obliqua di verde di una violenta luminosità, che comprime sotto di sé differenze e creature possibili. Andiamo così verso il 2009, a una fase via via più complessa in cui assistiamo alle mescolanze, al progetto di forzare le estraneità delle materie e degli esseri. Abbiamo collages come Thread, Hardware, Temper, Compensated. Il morbido e il duro, il lucente e l’opaco, il vivido e lo spento si confrontano. Raggiungere una vitalità univoca risulta impossibile (sempre del 2009 è Faded). E talora oggetti soffici come nuvole e stelle sembrano avere bordi dentati, vogliosi di ferire.
Ma ci si avvia a un punto di maturazione e sicurezza artistica propizio alla comparsa e affermazione del tema “donna” (2013). Sembra segnare l’approdo una scultura, Romantica, un insieme informe un po’donna e un po’ uccello, che dà l’impressione di un’ironia o perfino di un sarcasmo che potrebbe svilupparsi in una parodia letteraria. Ma forse è strumentale, e permette di passare ai due forti blocchi della Donna, che talmente cosciente è della sua forza da poter chiedere completezza a se stessa soltanto. L’una abbraccia se stessa o forse la soma cosmica che la vita le confida e l’altra, superbamente informe, è ripiegata sul proprio grembo e natura creativa. La strana vicissitudine dell’essere femminile che ha bisogno di attraversare frantumazione, durezza e sarcasmo, e anzitutto fasi di nascondimento e oblio, per attingere infine la conquista di sé fa pensare, nelle due opere, alla Mater Matuta, la Donna-Madre delle sculture primitive ritrovate a Paestum, la cui piccola dimensione Irene Vairo fa sua.
Credo che la tematica di quest’artista e le sue forme, culminando nelle mescolanze recenti dell’opera e sotto il dominio della Donna, abbiano disegnato un arco dal moderno al primordiale e altresì, inevitabilmente, dal primordiale alle mescolanze del postmoderno.
Rubina Giorgi

Artmajeur

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