Aggiunto il 23 lug 2011
L’arte figurativa contemporanea ha distrutto i canoni e i precetti vivi e intoccabili in essere fino alla fine del diciannovesimo secolo. L’avvento della fotografia e, più tardi, l’appropriazione dello specifico fotografico (che tenta di far assurgere a ruolo di arte la fotografia stessa), rende,
nella maggior parte dei casi “obsoleta” la raffigurazione di ciò che ci circonda tramite immagini pittoriche di pregiata fattura.
Il senso del bello quindi, passando dalla tecnica e dall’abilità dell’artista, si trasfigura lasciando spazio alle pure emozioni che un’opera riesce a trasmettere. Tale evoluzione crea perciò non solo un nuovo modo di vedere l’arte, ma, soprattutto, una necessaria nuova serie di elementi basilari per distinguere l’artista dal decoratore. Cultura, energia, atmosfera, nuove idee, ma anche aggregazioni, rapporti sociali, potere economico decidono chi emerge come nuova realtà dell’arte o chi resta relegato a ruolo di decoratore. Tutto ciò, tranne in alcuni casi conclamati, a scapito (talvolta) della tecnica e del segno pittorico in quanto tale.
Si può quindi considerare oggi un artista chi è privo di capacità pittoriche di base? La capacità comunque di suscitare emozioni e trasferire la propria cultura sulle opere è condizione sufficiente per ottenere lo status di artista, o forse resta “conditio sine qua non” il fatto di essere validi tecnicamente?
La Destruars si pone a cavallo di queste domande e tenta di andare oltre l’obiettivo, si prefigge quindi di eliminare i concetti di èlite e dare spazio anche a coloro che hanno “qualcosa da dire”, ma non dispongono del talento puramente tecnico altrimenti indispensabile per emergere.
Il rispetto per questo talento non viene messo in discussione, ma deve essere concesso ad ognuno che lo desideri, di esprimersi a prescindere dalle proprie capacità, sostituendo quindi la tecnica con la necessità di poter e saper “dire qualcosa”, qualcosa che entri di prepotenza nella mente di chi guarda e che lasci un segno emozionale di forte spessore.
Una anti-arte quindi (nel senso positivo dell’accezione) , che vada a fondersi con l’arte, ma che abbia valore intrinseco e riconosciuto in ogni ambiente e presso ogni critica.
Tale operazione può apparire banale e poco strutturata, ma non è così, anzi comporta ancora più valutazioni complesse e di difficile fattura.
Cosa si vuole dire, quali corde emozionali si vogliono toccare, quali aspetti culturali e sociali si desiderano descrivere? L’antiartista (se così si può definire l’appartenente alla Destruars) può e deve trasmutare sulla propria opera tutti questi concetti (o metaconcetti) con la convinzione di essere un non-bravo, ma anche con la sicurezza di avere un diritto all’espressione dato dal proprio stesso essere, destabilizzando (destruendo) i parametri esistenti ed evitando di riscriverli.
La Destruars si inchina quindi al talento tecnico, ma percorre la strada inversa, la destruttura e si libera dai dogmi finora esistenti e cerca nell’emozione arrecata il proprio momento epifanico scatenato da ancestrali bisogni comunicativi non altrimenti esplicabili. Sprigiona forza e tenta di sorprendere il pubblico con l’impatto, con il concetto, con l’anima.
Ottenere questo consenso è la sfida della Destruars come specifica base al servizio del conscio sebbene privo di tecnica.