Paola Doria

Paola Doria è nata a Brescia, ma ben presto, con la famiglia, si trasferisce a Mestre. Nella sua storia non ci sono bambine prodigio con la matita in mano, illuminazioni artistiche adolescenziali, il sogno di diventare una pittrice e non c’è nemmeno un liceo artistico. Si è diplomata alle Magistrali e la sua destinazione doveva essere quella della psicologia. E’ solo durante un viaggio a Londra, sponsorizzato dal padre, che Paola s’imbatte nel disegno: durante il soggiorno londinese comincia a tracciare dei segni, a lasciar scorrere la matita. E’ un colpo di fulmine che le fa scoprire il piacere e la necessità dell’espressione artistica. Lascia l’Università e, per imparare l’abc della pittura, comincia a frequentare nel 1982 la Libera Scuola del Nudo di Venezia, dove incontra maestri come Vittorio Basaglia e Luciano Zarotti. Un’esperienza formativa stimolante che la spinge a iscriversi e poi a diplomarsi all’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Carmelo Zotti. Maestri importanti, impegnati in vario modo nel figurativo, che però incidono ben poco sulla sua scelta astratta che aveva già imboccato come autodidatta. A Venezia, grazie ad una borsa di studio della Fondazione Bevilacqua La Masa, poi rinnovata, ottiene uno studio gratuito a Palazzo Carminati e contemporaneamente utilizza un piccolo studio privato alla Giudecca. E’ un periodo di grande attività creativa ed anche espositiva, sia a Venezia che all’estero: circa quindici anni vissuti in laguna durante i quali matura e rafforza il suo percorso astratto nel segno-colore. Lasciata Venezia alla fine degli anni ’90, Paola si trasferisce lungo il litorale del Cavallino e poi a Musile di Piave, nella campagna veneziana, dove attualmente vive con marito, figlio, cane e galline. Famiglia e impegni di lavoro hanno rallentato ma non fermato la sua attività che, nell’estate del 2012, si è rimessa in moto con decisione. L’ampio studio e la veranda affacciati sui campi le hanno permesso di ritrovare la libertà e lo spazio necessario per proseguire il suo cammino fatto di segni certi, forti, dolorosi e turbolenti che “narrano” di lei e del suo mondo nascosto.

Palingenesi ed epifania, parole “dotte” che, tradotte in termini più accessibili, significano rinascita, rigenerazione, risveglio, apparizione, manifestazione. Ritradotte secondo il verbo pittorico di Paola Doria si trasformano in flusso, carica di energia, forza, esternazione, un moto frenetico che invade la tela (o la carta) e la aggredisce, gesto e getto incontrollato e desiderato per continuare un percorso nell’astrazione iniziato a diciassette anni o giù di lì e proseguito con coerenza e convinzione da Venezia sino a Musile di Piave…In estate, un’estate campestre, dopo un periodo di pausa e riflessione, il risveglio, la pittura che sente l’arrivo di un nuovo mattino, quello giusto per rimettersi in azione e rinnovare l’ansia del segno. Un segno ritrovato su un blocco di appunti, schizzi, bozze, idee di qualche anno prima che si fanno traccia per una nuova incursione nel profondo. Il colore non c’è più o, se c’è, è solo una presenza conquistata dal puro e aspro ritmo del nero, dal suo saturnino avanzare. Palingenesi ed epifania, arte che non si ferma, si rimette in marcia , gesto dinamico, conflittuale, inconscio che si manifesta e si impone lungo tracciati privati che si fanno pubblici. Soggettività e oggettività, l’interno e l’esterno, ordine e disordine, la tensione di trovare un equilibrio, un punto di contatto tra sé e l’altro, tra “arte per l’arte e arte sociale”, come ha scritto Paola. Una tensione che prende forma in cerchi e triangoli che si liberano dalle certezze e rigidità geometriche e si reinventano in nuovi percorsi e forme. Sfrecciano, si svolgono e riavvolgono, si avvitano, sfuggono alla mano, cercano una via d’uscita, s’impennano, s’attorcigliano, si confondono, salgono e scendono, curve e rette esibite e dissolte nel moto di un pennello che segue impulsi e spinte segrete, stati d’animo, pensieri. Segni corposi e quasi invisibili, pesanti e sottili, più fitti e più radi si replicano, variano, mutano, costruiscono traiettorie aeree leggere, reinventate nel movimento e nella sicurezza di un gesto vitale, positivo, “caotico”, ma che al caos non cede e dal caos vuole uscire sognando, anche, una rinascita del mondo così com’è…Questa è la palingenesi di Paola: il coraggio di affrontare ancora l’impervia strada dell’astratto più netto ed estremo, dello scontro, dell’oscurità, per cercare una porta di luce ovunque essa sia. Un’artista che, oggi, rinata, celebra l’essenzialità e magmaticità del nero, ma si concede anche un bagno di colore negli acquerelli, trasferendo, liberando e traducendo in liquidi tracciati il suo inquieto mondo di forme e segni, ricordando, forse, il suo breve ma intenso passaggio lagunare.
Emanuele Horodniceanu Venezia Bistrot de Venise 31 gennaio 2013