AVATAR (2023) Σχέδιο από Marco Tidu

tecnica mista (carboncino, vinilico) su tela, 100 x 100 cm
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Propulsore evolutivo della società tecnologica sembra essere il concetto di “dematerializzazione” dell’oggetto fisico, del quale appare più conveniente disporre di una mera rappresentazione, piuttosto che avere a che fare con l’ intera sua materialità.
Questa tendenza, che nei procedimenti odierni si attua mediante la digitalizzazione, esprime a mio avviso non solo un desiderio di “funzionalità”, ma è anche sintomo di un’esigenza più profondamente umana, benché generalmente non supportata da una diffusa consapevolezza.
L’esigenza di cui parlo è di origine ancestrale, e deriva dal bisogno di sfuggire al dolore.
Il “dolore” è intrinseco alla natura materiale di tutte le cose concrete, pertanto si può desumere che l’assenza della materia equivalga all’assenza del dolore.
Non so in che rapporto l’emancipazione dalla “materialità” possa corrispondere al raggiungimento della felicità, ma è noto a tutti che il “dolore” è prodotto dall’esistenza fisica di un qualcosa che, una volta eliminata, cessa di procurarlo.

Nel corso dei millenni, su questa terra sono comparse figure di enorme statura intellettuale che abbiamo conosciuto nei panni di santi, profeti, filosofi, maestri, sciamani... Tutti loro sono accomunati da una speciale sensibilità per la “spiritualità”, che non è altro che l’aspetto immateriale della dimensione in cui viviamo. Essi hanno intuito che proprio nel mondo spirituale è possibile trovare la vera felicità, perché lì non esiste il dolore, e nel comunicarlo a noi (che a quei mondi non riusciamo ad accedere facilmente), ci hanno insegnato pratiche di vita in cui è possibile essere davvero felici, a patto di svincolarsi quanto più possibile proprio da quel materialismo che del dolore è artefice.

Guardando alla digitalizzazione, essa dunque produce l’ astrazione dell’ oggetto fisico: mediante sequenze di numeri (zero e uno, nel sistema binario) è possibile “rappresentare” qualunque cosa.
Questo permette di superare tutta una serie di limiti propri della condizione materiale dell’oggetto stesso, cristallizzando in forma rappresentativa, appunto, determinate sue caratteristiche, quelle più utili o significative.
Senza entrare nel merito dei reconditi effetti di tale soluzione, va però evidenziato come la sua efficacia suggerisca per molti versi quella di un probabile percorso evolutivo dell’umanità stessa, il cui obbiettivo è da sempre il raggiungimento della felicità mediante l’eliminazione del dolore (inteso come fame, fatica, solitudine, malattia, paura, ansia, ecc.), e quindi, in buona sostanza, di ciò che lo provoca.
Sembreremmo destinati perciò a ricorrere nostro malgrado agli aspetti spirituali dell' esistenza, e nel fare questo, consapevolmente o più spesso inconsapevolmente, abbandoniamo a poco a poco la nostra “fisicità”, in favore di una “meno dolorosa” rappresentazione di noi stessi.

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