Luca Palazzi
Gratta e Vinci sull'invidia e sull'odio (Testo critico: Francesca Ronconi)
IL 15 GENNAIO A ROMA (ZONA RIONE MONTI) INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA
"Gratta e Vinci sull'Invidia e Sull'Odio"
Artisti: Luca Palazzi e Fulvio Martini
Dove: Degli Zingari Gallery Via Degli Zingari 52/54
Apertura: ore 19.00; Fino al 27 Gennaio!
Testo critico: Francesca Ronconi
“Berlusconeide”, viaggio al centro del potere
Neo-espressionista e appassionato conoscitore d’arte, Luca Palazzi ha assorbito influenze artistiche da Francis Bacon, Lucien Freud e dai grandi espressionisti tedeschi nelle sue opere sul mondo del lavoro e del precariato e in quelle sulla repressione e il controllo sociale, ravvisabili nella violenza dei contenuti, nella rappresentazione del corpo umano e della spazialità in cui è immerso.
Con la Berlusconeide Luca Palazzi ha rielaborato le lezioni dei suoi maestri sviluppando uno stile basato su forti contrasti, di luci e di colori, sulla provocazione, sulla capacità di sostenere uno sguardo profondo sulle debolezze umane.
Se Martini si sofferma sull’uomo come ‘i molti’, Luca Palazzi in questa sua ultima esposizione ne indaga invece a fondo solo uno, dal quale non può prescindere alcun discorso sull’Italia degli ultimi 17 anni e ancor prima, se consideriamo la portata dell’avvento delle tv private sulla cultura e l’immaginario italiani.
Quel che troviamo alla base di ogni inganno di Maya viene inesorabilmente svelato dalla ricerca che Luca Palazzi conduce con la Berlusconeide, come viaggio conoscitivo sul potere politico e mediatico che domina ‘i molti’.
L’artista osserva il potere con la fascinazione di chi abbia avuto la possibilità di guardare nella penombra della cantina polverosa in cui è tenuto nascosto il quadro che ritraeva Dorian Grey, e non riesca a distoglierne lo sguardo, come da un cadavere, per quanto ne provi orrore e repulsione, per scrutarne il mistero profondo,
La capacità di sostenere un tale sguardo sembra accompagnarsi a quell’incedere calmo di chi medita la realtà, per poi lasciar spazio all’eruttare di passioni intense nella profondità di colori fortemente evocativi.
Luca Palazzi mostra una capacità fuori dal comune di mettere a nudo i risvolti aggressivi del potere, il vizio e il ridicolo che lo ricopre quando degenera ed equivoca volutamente il vero significato delle parole “libertà” e “sicurezza”, diventati scudi dietro cui celare ogni abuso, attraverso il geniale uso della patafisica, la scienza che studia le soluzioni immaginarie.
L’uomo che si innalza al di sopra degli altri utilizzando a tal fine ogni mezzo lecito e illecito, è riuscito a modificare il profilo di un intero paese trascinando con se tutti coloro che lo seguono abbagliati da tanto “successo” e la cui scia ha profondamente toccato anche tutti gli altri.
La lontananza di una tale figura dalla nostra quotidianità lo rende una figura quasi mitologica, resa ancor più distante nelle sue luci e ombre, dalla propaganda della sua potenza mediatica e dai clamorosi scandali (dalle sempre doppie interpretazioni da parte delle belligeranti schiere dei sostenitori e dei detrattori) che suscitano sgomento ormai a livello internazionale.
La ricchezza di colori, di volumi e di materia che compongono i primi piani della Berlusconeide, non sono semplicemente uno stile di pittura: esplorano ogni violenta tinta di questo ambiente, di un uomo diventato paesaggio, un uomo diventato un fenomeno ambientale.
Il richiamo va quindi ancor più naturalmente alla originalissima trovata delle nature morte con Berlusconi.
La Berlusconeide si apre con “Cocoon”, quadro fortemente simbolico, nel quale si fa sentire l’influsso della valenza data da Kokocinski alla maschera disvelatrice, e che ricorre nella micro-serie di 3 quadri della “Berlusconeide in maschera”, che include anche “Figlio degenere” e “”Mignottocrazia. Sono io mia moglie!”.
L’opera “Cocoon”, che riprende il titolo di un famoso film di fantascienza sul tema dell’eterna giovinezza, innestato acutamente su quello del potere che pervade tutta l’esposizione, richiama con un pizzico di ironia il mito dell’eterno ritorno e perché no, della reincarnazione.
L’acqua avvolge e lega Craxi e il suo discepolo, che fanno il bagno insieme al mare.
Sullo sfondo il Vesuvio, che da elemento paesaggistico, diventa segno di caratteri umani se messo in rapporto alla maschera appena accennata di Craxi (come fosse parte integrante del suo viso), permettendoci di cogliere il richiamo alla maschera italiana per eccellenza, quella di Pulcinella.
Onde leggere si convogliano verso il discepolo coadiuvando la gestualità del predecessore e favoriscono una trasmissione di sapere che viene ben accolta.
L’immortalità di uno stile di potere all’italiana, al di là delle regole e ancora mai definitivamente condannato, avviene alla presenza del Vesuvio come luogo magico, dove si dilegua l’inganno di benessere di Maya, di fronte all’immondizia di Napoli e alla malavita organizzata.
In questo luogo si palesa dunque l’oracolo che, in un paese da sempre abituato ad esser dominato e mai governato, questo “stile” -da Craxi a Berlusconi passando per Tangentopoli, processi, prescrizioni e insabbiamenti- sia oramai definitivamente collaudato.
In “Figlio degenere” l’ambiente berlusconiano si insidia appieno nella vita domestica: i genitori sconcertati non si capacitano di una trasformazione che viola la naturale trasmissione di valori da genitori a figli.
La scena, dall’ambientazione e dalla luminosità da famiglia del mulino bianco, diventa sinistra non appena lo sguardo dello spettatore si sofferma sulla bambina di profilo che indossa una maschera di Berlusconi.
La bambina, seduta a far colazione col fratellino che ci da le spalle, si trova al di fuori delle linee dirette dello sguardo degli altri personaggi interni al quadro e di conseguenza, in risalto rispetto allo sguardo del pubblico.
Ciò rivela pertanto a noi spettatori la causa dell’espressione dei genitori, che evidentemente fissano la medesima maschera, sul volto del figlio maschio rivolto verso di loro.
Notiamo la capacità di costruire una triangolazione di sguardi all’interno del quadro e al di fuori di questi (lo sguardo del pubblico).
I quadri in cui Berlusconi è in primo piano sembrano riuscire a bloccare gli inarrestabili tempi televisivi che non ci consentono di osservare i risvolti di certe espressioni o anche semplicemente i segni del tempo che è trascorso sul viso di quest’uomo, che finalmente possiamo osservare più a fondo e più attivamente, al di là del bombardamento televisivo cui ci sottopone alla maniera del politico e del venditore, trattando la popolazione come mero pubblico, come l’audience studiato dai suoi sondaggi, in quanto composto di elettori-spettatori: passivi bersagli di messaggi promozionali.
Troviamo così in questa esposizione la possibilità di sbirciare dietro le quinte del perenne set televisivo del nostro primo ministro: la sua vecchiaia, la sua aggressività, la lascivia e la sconfitta contro quello che sembra essere l’unico nemico in grado di metterlo fuori gioco: il tempo. Quello che agisce sul corpo e forse chissà, il tempo giudiziario!
La visione della realtà che ci viene proposta nell’universo berlusconiano la trasforma in immagini falsamente e scopertamente confortanti; così la Berlusconeide si chiude con “2010. Odissea e basta”: un astronauta sullo sconosciuto “pianeta Berlusconi”, che rappresenta in maniera immediata quel senso di estraneazione da cui ci sentiamo travolti di fronte a una tale fiction.
Fare di questa estraneazione una forma d’arte, drammatica e sarcastica allo stesso tempo, è un baluardo di resistenza al nulla che avanza.
“Visto che il mondo sta prendendo una direzione delirante,
è il caso di assumere un punto di vista delirante”.
(Jean Baudrillard)