Un Rinascimento contro il razzismo...

Un Rinascimento contro il razzismo...

Olimpia Gaia Martinelli | 22 feb 2023 9 minuti di lettura 1 commento
 

Il romanzo di Larsen sembra continuare nel punto di vista espresso, circa trent'anni dopo, dal dipinto di Jacob Lawrence, che, intitolato Taboo (1963), è una delle tante opere realizzate dall'artista durante il movimento per i diritti civili, volto ad esprimere, attraverso la raffigurazione di due coppie miste intente a sposarsi, tutta l'avversione provata dal maestro per i tabù riguardanti i matrimoni tra persone di razze diverse...

BALLIAMO! (2022) Collage di Dominique Kerkhove (DomKcollage).

Dalla letteratura alla pittura alla poesia...

"È facile per un negro "passare" per bianco. Ma non credo che per un bianco sia così semplice 'passare' per un nero".

Queste parole, risalenti al 1929, ma, purtroppo ed in maniera inaccettabile, ancora in parte molto attuali, sono state scritte da Nella Larsen nel romanzo Passing, opera in cui, proprio mediante tale termine, venne analizzata l’ossessione americana per la “color line”, ovvero quella linea di confine immaginaria, che, nelle menti dei più razzisti, conservatori o semplicemente stupidi emulatori delle “maggioranze”, separò il confine tra bianchi e neri, escludendo questi ultimi dalla vita politica e sociale del tempo. Facendo ancora più chiarezza a riguardo c’è da sottolineare come, all’epoca della scrittrice, il trattamento discriminatorio venisse assunto in maniera indistinta, ovvero verso chiunque presentasse nel suo patrimonio genetico anche una sola goccia di sangue nero. A tale razzismo molti mulatti risposero proprio con il fenomeno che riporta il titolo del libro, il quale, definito appunto passing, rappresentò un costume secondo il quale era possibile decidere di attraversare la color line per definirsi bianchi, accettando, di conseguenza, di entrare in confidenza con un altro “ambiente”, il quale in maniera non del tutto estranea, ma nemmeno tanto amichevole, portava “il candidato” a non saper più bene come parlare delle proprie origini e, di conseguenza, di sé stessi. Nonostante la tendenza in questione servisse per evadere dalla segregazione, essa portava ad alcuni svantaggi, in quanto, chi aveva ottenuto di essere bianco, nel momento in cui si imbatteva in gente di colore, riconosceva ormai di appartenere ad un'altra fazione, nella quale, però, non credeva nemmeno poi così fervidamente. Queste sensazioni sono quelle che una delle protagoniste del libro, ovvero Irene Redfiled, vorrebbe sentirsi rivelare dall’amica Clare, donna dalla pelle chiara, ma con radici afroamericane, che, proprio tramite il suddetto fenomeno del passing, riuscì ad apparire bianca non solo agli occhi della società che frequentava, ma anche a quelli di un marito profondamente razzista. 

SAME (2019)Dipinto di Ztn Artist.

A questo punto, al fine di rendere l’immagine di una tale unione, passiamo dalla letteratura alla storia dell’arte, dove il romanzo della Larsen pare continuare nel punto di vista espresso, all’incirca trent’anni dopo, dal dipinto di Jacob Lawrence, che, titolato Taboo (1963), è una delle molte opere realizzate dall’artista durante il movimento per i diritti civili, volta ad esprimere, mediante la raffigurazione di due coppie miste intente a sposarsi, tutta l’avversione provata dal maestro per i tabù riguardanti i matrimonio tra persone di razza diversa. Tale finalità di denuncia necessita di essere contestualizzata all’interno della cultura statunitense del tempo, che, soprattutto nel sud, era ancora propensa a mantenere le leggi antimiscegenazione, le quali rendevano il suddetto atto non solo una trasgressione a livello sociale, ma anche un vero e proprio reato. Sempre a proposito di matrimonio, un’opera successiva dello stesso artista, titolata Dreams no.2 (1965), espone un concetto probabilmente affine, in quanto mette in luce come purtroppo, soltanto nella dimensione del sogno, un uomo dalla faccia blu e una donna dalla carnagione rossastra potessero essere effettivamente felici di celebrare la loro unione, avvenuta nei meandri della mente della figura che posa in primo piano. In un certo senso l’inconscio della protagonista della tempera, giustamente, si sente pronto per superare le barriere razziali della sua epoca, riconoscendosi come parte di un tutto, che è arricchito proprio dalla presenza di quella tanto temuta diversità. Proprio quest’ultimo pensiero, allora, mi fa pensare alla più totale accettazione delle molteplici sfumature della pelle, espressa dalla “spensierata” ragazza bicolore del dipinto La Baker (1977), opera di Loïs Mailou Jones, pittrice, il cui operato, ha tratto largamente ispirazione dalla tradizione francese, haitiana e africana, nonché da quella del suo paese natale, ovvero il New England, regione degli Stati Uniti d’America nordorientale, dove l’artista si è formata ed espressa, esternando una personalissima visione del mondo, volta a narrare un complesso punto di vista reso da forme stilizzate, colori ricchi e una sintetica bidimensionalità, avente il fine di esulare, in modo prevalente, dagli obiettivi del racconto politico e propagandistico.

DANZA CONTRO IL RAZZISMO (1990)Dipinto di Pierre Peytavin.

A proposito della sopra citata opera del 1977, invece, essa, oltre a rispecchiare largamente le peculiarità stilistiche sopra enunciate, vuole citare e celebrare, proprio come da titolo, la figura di Josephine Baker, prima donna di origine africana, che, recitando in un importante film, divenne, sia un’intrattenitrice di fama mondiale, che un indimenticabile fonte d’ispirazione per intere generazioni di donne afroamericane. Restando in tema di orgoglio identitario, la stessa maestra ha rivendicato l’importanza delle sue origini in Ubi Girl from Tai Region, dipinto in cui una giovane donna, intenta a fissare lo spettatore tramite le fessure delle sue palpebre semichiuse, presenta il tipico volto decorato dai colori del rito dell’iniziazione alla femminilità della regione Tai della Costa d’avorio, luogo che la Jones aveva visitato durante un lungo viaggio in Africa alla ricerca delle proprie radici, episodio sentitamente accompagnato dalla voglia di giungere ad una forma d’arte afroamericana liberata, ovvero più audace, identitaria ed estremamente intima. In aggiunta, mediante i suoi soggiorni nel suddetto continente, la pittrice si rese conto di una triste verità, ovvero dell’esistenza di un’esperienza condivisa, che, indicata con il termine di Blackness, era capace di unire gli avvenimenti delle nazioni africane in via di sviluppo, recentemente esuli dall’indipendenza, con le affini lotte per l’inuguaglianza degli afroamericani. Tornando invece per un attimo a La Baker, tale dipinto potrebbe trovare la sua “anima gemella” in Marian Anderson, olio del 1945 di William H. Johnson, volto a celebrare, come da titolo, un’altra importante donna di colore, nota per essere stata un popolare contralto d’opera spiritual e gospel, il cui talento superò le barriere razziali portandola, addirittura, a cantare al prima inaccessibile Lincoln Memorial del 1939.

NATURA MORTA CON MASCHERA AFRICANA (2020)Dipinto di Galya Didur.

LOUIS (2021)Collage di Olivier Bouvard.

Proprio con quest’ultimo capolavoro sbarchiamo, per un momento, nel mondo della musica gospel, ricordando come questa risalga addirittura al Seicento, epoca in cui gli schiavi neri furono portati dall’Africa in America, contesto in cui proprio le note divennero un lenitivo per alleviare le loro sofferenze. Il legame tra musica e razzismo ebbe seguito però anche nel successivo jazz, tanto che uno dei più famosi musicisti del Ventesimo secolo, quale Louis Daniel Armstrong, affermava senza esitazione: “C'è tanta gente per bene che girato l'angolo lincerebbe un Negro” […] “Ma finché ascoltano la nostra musica, non pensano a questa roba”. A testimonianza di queste crude parole ci sono tutte le difficoltà che i biografi dell’epoca ricordano nel momento in cui, anche nel caso del celebre trombettista, egli riscontrava, in alcune occasioni, una notevole difficoltà nell’organizzazione della sua tournée, poiché di sovente scontava il fatto che essere ospitati in un hotel poteva risultare problematico per il suo colore della pelle. In questo contesto è impossibile non immaginarsi Louis Daniel Armstrong intento a custodire nelle sue mani la sua fedele tromba, magari sorridendo al pensiero che, fortunatamente, oggi le star di colore non devono affrontare il calvario della sua epoca, sicuramente anche grazie al suo prezioso contributo. Questa positiva immagine prende letteralmente forma nel collage, realizzato con l’ingegnoso “assemblaggio” di tessuti, dell’artista di Artmajeur, Olivier Bouvard, il cui soggetto ci riporta ad un topico fondamentale della storia dell’arte, ovvero quello delle trombe del Giudizio universale, che, nel contesto dell’arte afroamericana, è ben esemplificato da The Judgment Day (1939) di Aaron Douglas. Proprio quest’ultimo capolavoro, concepito dal maestro più di un decennio dopo aver creato l’illustrazione su cui si basa il dipinto stesso, ovvero la raccolta di poesie God’s Trombones: Seven Negro Sermons in Verse di Weldon Johnson, rivela le reminiscenze di uno stile volto ad amalgamare le tendenze del modernismo europeo con l’arte africana. Ad ogni modo, per essere più precisi, è bene esplicitare come le immagini del suddetto volume furono tutte reinterpretate in grandi olii, che nel caso di The Judgment Day hanno dato vita ad una composizione avente per soggetto principale un Gabriele nero, che, con una chiave in mano, è intento a soffiare in una tromba come Armstrong, al fine di chiamare i vivi e i morti che devono essere giudicati all’interno del contesto apocalittico. A questo punto è impossibile non fare riferimento ad una delle più note interpretazioni del Libro della Rivelazione, quale quella di Albrecht Dürer, versione in cui i suddetti avvenimenti sono però descritti da due differenti xilografie: The Seven Angels with the Trumpets, dove gli angeli musicisti sono in numero maggiore, e l’Angelo con la chiave dell'abisso, in cui si aggiunge l’immancabile presenza del demonio.

MUSICISTI JAZZ DI STRADA (2022)Dipinto di Giuseppe Valia.

Tornando ancora una volta al punto di partenza, ovvero alla dimensione musicale, sono molte le opere realizzate da artisti afroamericani, volte a celebrare il mondo del jazz e dell’improvvisazione casalinga, quali, ad esempio, Out chorus (1979-89) di Romare Bearden, Can’t sleep at night (1932) e No easy riders (1948-50) di Palmer Hayden. A proposito di quest’ultimo maestro, è importante interpretare il suo operato alla luce del suo percorso creativo e personale, in quanto, dopo aver vissuto a Parigi dal 1927 al 1932, egli, tornato a New York, passò dalla raffigurazione di paesaggi marini ad un’indagine artistica prettamente incentrata sull’esternazione dell’identità afroamericana. Quest’ultima dimensione venne esplorata non soltanto tramite un’accurata analisi delle manifestazioni musicali, ma anche attraverso un attento focus, che, proiettato sulle tradizionali danze e maschere africane, è da intendersi come una pura manifestazione della consapevole delle proprie radici. Tornando alle opere che ritraggono musicisti in interni, tali personaggi potrebbero legarsi all’interpretazione facente capo ai dipinti, che, realizzati dallo stesso artista, immortalano scene di vita familiare, in quanto chi suona è allo stesso modo circondato da vicini, amici e familiari, volti a celebrare il valore del nucleo di appartenenza come un’unità coerente in continua espansione. Di fatto, proprio in questo contesto, la musica appare come un legante, capace di fortificare i legami sopra indicati, convogliandoli in una dimensione comune, dove è possibile distinguere un’univoca percezione del mondo, degli intenti e dei valori. Parlando del mondo dell’arte contemporanea, invece, la musica jazz ci porta, questa volta, all’”interno” di un’ambientazione esterna, volta a prendere vita nella tela dell’artista di Artmajeur, Giuseppe Valia, che, in modo alquanto “spericolato” ha voluto collocare i protagonisti della sua opera al centro di una strada, via di comunicazione visibile anche tramite le surreali trasparenze riportate dai corpi degli oggetti e dei personaggi stessi.

WEST HARLEM NYC (2019)Dipinto di Helene.

Infine, è giunto il momento di svelarvi qual è il fil rouge che unisce tutti i noti capolavori dei maestri menzionati in questo lungo racconto figurativo, avente luogo, come esplicita il titolo del dipinto West Harlem NYC dell’artista di Artmajeur Helene, nel noto quartiere di Manhattan, conosciuto per essere un grande centro culturale e commerciale degli afroamericani. Proprio in quest’ultima location ha avuto luogo l’Harlem Renaissance, rinascita intellettuale e culturale comprensiva dell’espressione musicale, della danza, dell’arte, del teatro, della letteratura, della politica e della moda, di cui tutti i celebri maestri sopra indagati hanno fatto parte, precisamente, durante gli anni Venti e trenta del Novecento. A tale fervore artistico e intellettuale si accompagnò, come abbiamo già visto, una rinnovata militanza nella lotta generale per i diritti civili, che, nel contesto della ricorrenza del Black History Month, merita di essere ricordata, celebrata, valorizzata, promossa e mai dimenticata anche attraverso le attuali opere di Artmajeur.

 

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