Aggiunto il 26 dic 2011
di Gea Salieri
Guardando l'opera di Iris Cavallone si ha immediatamente l'impressione di una immensa vetrata spalancata sul mondo davanti agli occhi dello spettatore, aiutata indubbiamente in ciò dalla sua origine umbra che ha lasciato in lei il sentore della dolcezza e della luminosità di questa T erra generosa.
Un'arte, la sua, formale, decisa, senza sbavature ma ricca di chiaro scuri, luci ed ombre sapienti che sembrano sbalzare l'immagine dalla piatta linearità della carta o della tela; tenui toni smorzati che a tratti si impennano e cedono via via il posto al tono più vivo e brillante.
Nel ritratto è puntigliosa, non lusinga perché fa emergere dai tratti e dalla lucentezza ciò che è all'interno dell’immagine.
Nel corso degli anni numerosi dedicati allo studio ed al lavoro il suo lavoro si affina vieppiù fino ad arrivare all'informale del più puro e sofferto astrattismo.
Da tempo la Cavallone si dedica dunque alla incisione arrivando ad opere di sempre maggiore pregio si che già da numerosi maestri incisori i è stato detto che "ogni istanza di Iris annulla la precedente".
Nell'opera della "giovane-anziana" (Valentino Bai) artista si ritrova finalmente ciò che ognuno che ami l'arte (in tutte le sue espressioni) DEVE trovare: una gioia spirituale nel "vedere" ciò che è così facile capire, un , soffio d'amore e di dolcezza che scaturisce dall'immagine e dal segno, la carezza delicata e pur forte di una mano femminile che trasfonde senza reticenze nel proprio lavoro quello che - attraverso l'occhio attento - il cuore vede e sente senza comunque nulla cedere ad una più facile trasposizione figurativa od a qualche forse comoda eccentricità.
Un'artista, la Cavallone, da mostrare soprattutto a tante giovani leve che molto, troppo spesso si perdono nei meandri di una ricerca di originalità che sovente è "lavoro" ma non "arte".
Bologna, Maggio 1991 .
Gea Salieri
IRIS CAVALLONE
di Valentino Bai
E' grazie all’opera di personalità come quella di Iris Cavallone che la pittura e il disegno presentano ancora oggi quelle caratteristiche che ci fanno avvicinare ad un lavoro d'arte figurativa con curiosità se non addirittura con interesse e meraviglia.
Curiosità, interesse, meraviglia che generalmente non possono più al giorno d'oggi muoverci alla scoperta dei tesori esposti in una mostra d'arte, frastornati e nauseati come siamo noi spettatori... PUBBLICO... o, con un termine di moda alcuni anni orsono "fruitori" dal caleidoscopio di compiacenti "Nomi" presentati da "Nomi di Nomi", che si alzano sulla punta dei piedi per gridare il loro "N o m e" e "N o m i"!
Cos'è tutto ciò? "Pa r o 1 e"!...
Ma il disegno e la pittura con tutto questo non hanno a che fare.
Di fronte all’operare di Iris Cavallone "non" viene spontaneo piegare il capo e, ...con occhio annoiato, andare a perlustrare tra le righe di un "trafiletto" mercenario, un qualche... "N o m e".
Dinnanzi ci troviamo la potenza del Disegno quindi della Pittura pura e intendo per questo dell'opera eseguita con animo aperto o privo di pregiudizi di stampo "intellettual-concettuale".
Il segno non ha qui pertinenti perché chi è puro non ha colpe da confessare (vedere il disegno e la stampa originale di Cavallone)
Se talvolta la composizione o le proporzioni di un insieme non rispettano i canoni stabiliti, questo avviene "non" per mancanza di "sapere", ma per deliberata scelta che privilegia 1 'immediatezza del segno o dell'invenzione alla "ovvietà" della "rappresentazione" razionalmente e scolasticamente concepita. E questo, diciamolo francamente, Iris può largamente permetterselo.
Dopo aver trascorso lunghi anni di scarsa produzione in una specie di "ibernazione riflessiva", questa pittrice ci meraviglia oggi con un'attività che, per qualità e feconda prolificità ( contraddicendo in maniera clamorosa il dato anagrafico) ci mette d'innanzi alle sue opere come se fossimo in presenza di una di quelle 'primavere' che tardano a venire, ma che quando esplodono in tutta la fragranza del loro profumo e potenza disegno e colore, non possono non travolgere d'entusiasmo; un'antica-giovane" pittrice dunque, temprata da una lunga esperienza, da una lunghissima riflessione prodigiosamente coraggiosa nello slancio tipicamente giovanile della sua arte.
Non mi soffermerò sull'immediatezza e la padronanza delle diverse tecniche della quale Cavallone fa prova ora queste sono sotto gli occhi di tutti, a ognuno quindi la libertà di giudizio aggiungerò solo che Iris racchiude in se questo segreto, che forse segreto non è, ma 'altro' cosa che, come un 'tesoro', non a tutti è dato il padroneggiare, poiché, anche i pochi che la posseggono, spesso non sono così illuminati da accorgersene.
Terminerò semplicemente con due parole prese da una canzone di un grande pota: "Primavera non bussa, lei entra sicura!".
Marsiglia, 15 febbraio 1990 Valentino Bai
di Mario Domenico Storari
1
…Con le sue raffigurazioni, l'artista umbra non ci lascia senza documenti, e in più sono documenti d'una particolare e decisa invenzione, documenti diretti.
La carica emozionale della sua operazione estetica si avvale di una autenticità e una sincera forza di espressione che entra nella nostra sensibilità con l'incontro magico della memoria. Momenti vissuti e rinarrati con 1'intenso e incantato stupore di chi scopre la fiaba incandescente della vita che si rinnova nella policroma tavolozza e nella competenza del segno stampato.
La realtà, per Iris Cavallone, diviene un fatto puramente mentale in certe sue opere, e per rappresentarla non c'è bisogno di attenersi al mondo visibile, ma basta indicarla così come viene raffigurandosi all'interno della mente, immersa in una fitta trama di relazioni morali, affettive, intellettuali, inconsce.
Questo il fine del discorso di Iris Cavallone, artista eclettica che porta molto al di là del limite stabilito dalla materia una ricerca, che maturata negli anni tende disossare dalle sue sovrastrutture il mondo del nostro secolo per accentrare 1'interesse sull'uomo che smette il suo ruolo di comparsa e diviene protagonista...
Quando poi si rivolge al ritratto o alla figura femminile in particolare, entrano in gioco le straordinarie capacità di questa pittrice che sono il vigore del segno e la ricchezza dell'immaginazione. Essa si ispira allora unicamente a quei momenti particolari che in qualche modo emozionano il suo animo sensibile e il disegno sicuro e composto costruisce con ampiezza di motivazioni tutto il fascino e la luminosità del dato reale. La sua linea sinuosa e il suo seducente disegno concedono alla forma una felicità di canto e un'intensità descrittiva ricca di trepidante intimità in cui si profila, per altro, il risultato di una elaborazione meditata e cosciente. Non una fedeltà di trascrizione dunque, ma una interpretazione sentimentale che ci viene offerta come l'espressione viva e profonda di una incantata evocazione armoniosa ed illimitata!
Mario Domenico Storari
Cervia, 24 gennaio 1991
2.
Ho già scritto di Iris Cavallone come artista totale ma l'emotività, che sempre mi coglie quando mi imbatto in personalità così eccezionali, mi incuriosisce al punto tale che vado certamente oltre il commento critico alle opere che come ebbi già a scrivere, denotano la qualità interiore ed intellettiva dell'artista. Che fosse una rara disegnatrice dei nostri tempi è assodato ormai anche da conferme di altri critici, tra cui di Franco Solmi che ne tracciò commenti intensi sulle capacità interpretative e "grintose" come ebbe ad esprimersi in una delle sue ultime apparizioni pubbliche prima di mancare.
Iris sa dare tutta se stessa nelle proprie opere tanto che i suoi lavori appaiono di volta in volta di luce sempre maggiore al punto che sembrano differire tra loro.
Niente di tutto ciò: Iris nell'esprimere i contenuti nelle opere continua, senza interrompersi, il discorso del suo intimo tacere e del suo severo fare, esigendo il massimo da se stessa e questo atteggiamento la libera nel tragitto del fare, facendole caratterizzare si i contenuti ma rendendoli riconoscibili per eleganza, stile ed educazione interpretative, per la padronanza assoluta di tutte le tecniche calcografiche la sua competenza è particolare. Ossessiva perfino, ma ciò non fa che garantirci l'opera di un'artista vera ed oserei dire assoluta.
Le sue stampe originali su materiali metallici, lignei e tecno-plastici hanno ottenuto ormai gradi e competenza tali che fanno predagire un futuro di artista fuori dal coro. Auguri Iris.
Mario Domenico Storari
Cervia, Settembre 1993
Visioni liriche e fantastiche nella grafica di Iris Cavallone
Di Mauro Corradini
Partire dalla realtà: è l’impegno, reso con se stessa prima ancora che con gli altri, che segna il carattere dell’opera grafica di Iris Cavallone, da anni attiva in calcografia e da anni valida incisore.
Seguendo la sua produzione , inseguendo i fili di un percorso che non voleva “schierarsi”, come è accaduto in una società – anche culturale –fortemente chiusa, caratterizzata all’interno di un percorso di ideologie, Iris Cavallone è rimasta, sostanzialmente, ancorata a questo suo credo, a questa certezza; e proprio in questo suo essere attenta ai ritmi dell’occhio e del reale ,si accorge che reale è anche il sogno, reali sono i desideri e le speranze, i sogni ad occhi aperti, le aperture di un’immaginazione che non si accontenta di immagazzinare, ma vuole dar voce ai materiali accumulati.
E’ questa la scelta che definisce l’ambito operativo dell’intera opera calcografica, e definisce nel contempo sia le scelte tematiche che i bisogni espressivi.
Viene, Iris cavallone, da una” lezione” straordinaria nella Bologna di Morandi è cresciuta;ma cresce sulle sollecitazioni di un ambiente aperto, attento alle influenze della cultura europea e allora la grafica attinge alle ragioni che un secolo e mezzo fa Baudelaire segnalava, in quella raccolta di testi dedicati all’arte, che non casualmente proprio Ezio Raimondi ha aperto con una mirabile prefazione nell’edizione integrale italiana di una decina di anni orsono.
Diceva dunque il grande poeta, il primo dei poeti contemporanei, che l’acquaforte, per sua intrinseca natura, non poteva che trascrivere le profonde inflessioni del sentimento dell’artista, perché nessuna arte è tanto capace di rinserrare nel breve spazio di un tratto di segno inciso le pulsioni interiori.
Per questo la calcografia è a un tempo grandiosa e privata, capace di essere il ritratto profondo della società, la trascrizione sovente di un immaginario collettivo e la cartina di tornasole delle individuali emozioni dell’artista.
E delle sue capacità: perché nella sua esecuzione, la calcografia ha un tempo lungo di elaborazione, una ritmica materiale che si confonde con quella dell’animo, una sequenza di passaggi che consente di soppesare ogni piccolo tratto, ogni segno.
Tale relazione sembra declinarsi con quella più antica, già emerso nell’estetica classica, quando venivano accomunate pittura e poesia, come due aspetti del medesimo sentire e come ut pictura poesis , così e tanto più, il paragone regge se alla pittura sostituiamo la calcografia, proprio per le ragioni che Baudelaire indicava .
L’acquaforte occupa infatti un breve spazio nel foglio contenuto; si accosta allo sguardo con il gesto amoroso della mano, amoroso quanto quello del calcografo, che trae da sotto il feltro il foglio inumidito su cui la pressione del torchi ha lasciato depositare i segni; e il foglio diviene una lirica che si legge con lo sguardo, in una relazione ravvicinata e sempre diverso tra due menti e due sensibilità, quella dell’incisore e quella del lettore.
Sovente di fronte al quadro siamo rapiti dalle cromie, siamo interessati ai colori e alla superficie; sono sovente l’attrazione si esaurisce in un rapporto fisico con l’immagine, che si consuma e si “brucia” in un lasso breve di tempo, così come vuole per esempio l’immagine mass mediale che sa trascinare il lettore in un solo desiderio e verso un’unica suggestione.
Al contrario, attraverso il contatto diretto e ravvicinato con il foglio inciso, entriamo nell’incisione ed è come entrare nell’animo dell’incisore; ci emozioniamo con lui, ne scopriamo le interne suggestioni.
E’ questa la ragione di un successo, in una nicchia privilegiata rappresentata dal “sodalizio informale” di coloro che amano il segno inciso.
E ci vuole tanto amore per Iris Cavallone per riaccostarsi all’incisione dopo gli studi, il diploma e la lunga attività didattica che le concede poco tempo per dedicarsi all’animo.
E solo con gli anni ottanta Cavallone riprende la lastra, riprende le punte, gli acidi , si riaccosta alle tecniche e le fa sue, traducendo sui fogli tutti quegli appunti che per una vita aveva disseminato su carte per lo più perdute.
Il disegno l’ha sorretta, una volontà decisa, che le serve anche per elaborare”libri d’artista”, un genere poco frequentato oggi.
Per chi parte dalla realtà, il mondo si presenta come una sequenza di temi; ma, lo si diceva in apertura, Iris ama anche i sogni, vuole dar voce alle speranze, alle fantasie.
Per questo manca nel suo percorso l’unitarietà; nelle oltre 120 tavole realizzate in oltre vent’anni di attività, dopo la ripresa ottenuta all’inizio degli anni ottanta temi diversi appaiono , mondi differenti, in parte desunti dalla quotidianità della vita, in parte dal patrimonio culturale ricco, che anima il fondo segreto di ogni artista: conchiglie, fiori, volti vero sognanti e quant’altro.
Tutto Il suo percorso poetico si direbbe racchiuso sotto la stella della qualità, della coerenza: tavole fitte fitte dove tecniche diverse si incrociano; e si relazionano, segni regolari, minuziosi che vanno dal largo gesto della punta secca alla traccia minuta dell’acquaforte, fino alle profondità dei neri della maniera nera, dell’acquatinta.
Le tecniche sono il sostrato indispensabile per poter scrivere, e nessuna arte ha conservato, come la calcografia, un suo speciale legame con la tradizione, ripresa e rinnovata ad ogni tavola, ma sostanzialmente mantenuta negli ambiti che mezzo millennio di storia ha contribuito a fissare.
E proprio dalla forza del segno, dalla coerenza del mezzo che si declina congiuntamente con la fantasia sognante di chi si siede davanti al foglio e lasci che la mano vaghi liberamente -è la lezione del surrealismo che adottano anche coloro che surrealisti non sono. Ma si può , oggi, coerentemente , non essere anche surreali?-; la mano va alla ricerca di qualcosa che è dentro di quell’invisibile che dalla contemporaneità è la sostanza, scritto che tradotto attraverso le cose che ci circondano, il muso di un gatto per esempio, l’intrico di rami che sembra desunto dalle antiche grottesche, il volto sognante che, impaurita e timorosa, sembra guardare alla vita davanti con animo sereno e maturo.
I temi di Cavallone sono vari, perché ascolta la propria immaginazione, la sorgente nativa di ogni forma; emergono fiabe a volte, simboli, volti di chi si è prestata come “modella” ma ha saputo conservare la propria individualità:”io sono” sembrano dirci con i loro sguardi e i loro atteggiamenti Emanuela (1997) o Elisa (1991): un tempo immobile ferma le immagini e reca una sicurezza che è propria dell’arte.
A volte, al contrario, i temi si sviluppano per forza di segno; come se fosse il segno, la voluta, il lieve ondeggiare della traccia a guidare la mano e definire l’immagine: i suoi Cigni (1992) sono avvolti da figure che li trasportano in un Altrove che è la vita della mente, a volte è la cultura, la storia ad aiutare l’autrice a definire la visione: è il caso, straordinario caso, di Fiumalbo (1991) un paesaggio che sembra recuperato da un Lorrain secentesco, e si distende davanti ai nostri occhi come se il paesaggio d’incanto cancellasse trecento anni di storia e si proponesse con quelle verità che abbiamo purtroppo perduto: visione, si è scritto, perché senza nulla togliere alla realtà, Cavallone descrive il suo sogno.
E ne è consapevole se è vero quando ritorna sul paesaggio come nel Laghetto Fiammingo di fine secolo(1999), mantiene inalterati i tratti che rendono “antica” l’immagine pur nella modernità della visione ( si pensi alle case, alle facciate nude e vuote, fantasmi, si direbbe, che vengono dall’anima prima che dagli occhi).
Si diceva più sopra di 2invisibile”, si pensava alla visione interiore, che in parte contraddice quel che gli occhi decifrano.
Non appaia contraddizione: oggi nessun artista può accontentarsi dei soli occhi.
Quel che ci preme non è soltanto sapere il luogo in cui Vincent ha posato gli occhi ma sentire il fremito e la disperazione che covava dentro il suo animo. Questa la scelta, un obbligo inevitabile.
E Iris Cavallone scava con gli occhi nella realtà, come scava con la forza dell’ispirazione in quell’immaginazione che sostiene l’elaborazione formale: Il passaggio del Mar Rosso (1992) non è un racconto ma una visione di tracce e segni che alludono a un evento (l’innalzarsi e l’aprirsi delle acque), ma traducono piuttosto dell’iconografia descrittiva il turbamento dell’animo: i segni s’innalzano fino a toccare il cielo, e il buio sembra tradurre l’intensità di una punizione che il Dio di Abramo infligge agli egizi.
In una visione tutta interiore dalle fiamme o dalle tracce luminose che la fantasia evoca al fondo scuro dell’acquatinta, vengono a noi Il fauno e la ninfa (1991), viene cioè da un sogno che si materializza, solo in virtù della forma.
La ricerca di Cavallone trova nella forma la sua verifica e il suo approdo; forse è nel mezzo, nella sua interna potenzialità, tutto ciò che alla fine emerge.
L’artista traduce spinto da una tensione che sta tra l’occhio e la mano che segue con sapienza.
Il parco sotto la neve (1988) si direbbe povero di segni perché la neve è un’idea è un bianco che i segni fanno emergere; ciò che l’occhio vede la tecnica trascrive in essenza, in spiritualità, in visione interiore appunto, in invisibile.
Solo la forma rende visibili il mondo che Cavallone ha dentro; un mondo accumulato negli anni di insegnamento, tenuto segreto o affidato ai fogli del disegno, come idee, appunti per ricordare.
Poi quando la vita le ha concesso il tempo dell’azione, con prepotenza tutto il mondo trattenuto sotto il limite della visibilità è venuto ai lettori attraverso il segno inciso:con un po’ di malinconia, forse, quella che sovente cogliamo negli occhi dei protagonisti delle sue storie oppure con la malinconica dolcezza di un paesaggio che si sperde in lontananza con i timori che emergono dai grovigli dei segni che circondano le immagini che vengono dalla vicenda culturale ( grafia surreale 1998), dal rigore anche delle conchiglie allineate (Le conchiglie 1988) colpi di luce nel buio che solo la calcografia sa trascrivere, quasi a palesare una difficoltà, un sottile rovello, un dissidio; che non si può gridare perché è dentro l’animo.
Ma non si può nemm