Muro 6 (2011) Fotografia da Giannibianchiph

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  • Quest'opera è una "Open Edition" Fotografia, Schizzo / Stampa digitale
  • Dimensioni Diverse taglie disponibili
  • Numerosi supporti disponibili (Carta per belle arti, Stampa su metallo, Stampa su tela)
  • Incorniciatura Framing disponibile (Cornice galleggiante + sotto vetro, Frame + Sotto vetro acrilico)
  • Categorie Astratta
Volevo dimostrare che anche la pittura definita astratta od informale, non necessariamente è il prodotto dell’invenzione dell’artista, ma può ancora derivare della sua osservazione e riproduzione dell’universo conosciuto (dipende da cosa e come lo guardi). Così ho realizzato parecchia anni fa questo studio sui muri di case abbandonate,[...]
Volevo dimostrare che anche la pittura definita astratta od informale, non necessariamente è il prodotto dell’invenzione dell’artista, ma può ancora derivare della sua osservazione e riproduzione dell’universo conosciuto (dipende da cosa e come lo guardi).

Così ho realizzato parecchia anni fa questo studio sui muri di case abbandonate, di cui la natura si era riappropriata, cancellando gli interventi della mano dell’uomo e ridando a questi superfici quell’estetica selvaggia frutto dei suoi strumenti più naturali: il vento, la pioggia, il tempo…

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Ricordo vividamente il primo momento in cui incontrai l’immagine creata dall’uomo. Avevo 3 anni (eravamo nel ’56), era una domenica pomeriggio e mia madre riuscì a convincere il mio giovane padre, che di anni[...]

Ricordo vividamente il primo momento in cui incontrai l’immagine creata dall’uomo. Avevo 3 anni (eravamo nel ’56), era una domenica pomeriggio e mia madre riuscì a convincere il mio giovane padre, che di anni allora ne aveva solo 26, a portarmi con se. Voleva che lui mi conoscesse di più, perché si affezionasse di più a me, visto che a causa dei suoi estenuanti orari di lavoro, non lo vedevo mai. Mio padre però aveva un piano: il bar dove si stava recando per godere di un rarissimo pomeriggio di festa e giocare un po’ a briscola con gli amici, era parte di un locale con annesso saletta per la TV e sala cinematografica. Allora prendendomi per mano, dopo avermi comprato un biglietto, mi accompagnò all’interno del cinema, mi fece sedere e dopo aver incaricato la maschera, che era un suo buon amico, di badare a me, mi disse di star tranquillo che intanto lui stava a pochi metri da me, al bar con i suoi amici, e che se avessi avuto bisogno poteva trovarmi in un minuto. Dopo di che con un sorriso, mi lasciò da solo. Era tutto talmente nuovo che non feci in tempo a preoccuparmi. Fino a che la luce si spense e rimasi per un certo numero di secondi al buio. Appena prima che cominciassi a chiedermi cosa stesse succedendo, partì dietro di me un fascio conico di luce e come in una magia, vidi apparire sul grande schermo le mie prime immagini.
Ne rimasi folgorato, totalmente, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta per l’affascinamento. Meraviglia delle meraviglie… Ricordo che mi sentii di colpo euforico, senza paura, come se fossi fuori dal corpo forte di una visione più ampia e più nitida di quella che ero solito avere fino ad allora. Dopo questa esperienza, diventai quel classico tipo di bambino che bastava dargli un libro con disegni o figure, per tenerlo buono un intero pomeriggio. Poi imparai a leggere e finalmente le immagini potei crearmele da solo e a gusto mio, pescando nei file della mia fantasia in base allo stimolo che ricevevo dai romanzi avventurosi, letture tipiche a quei tempi per i ragazzi della mia età. Divoravo i vari Dumas, Salgari, Verne, London, Kipling, Melville ecc…
E mentre leggevo creavo a modo mio Sandokan, Zannabianca, piuttosto che Baloo, o Rikki Tikki Tavi, o i tre Moschettieri. O visualizzavo come poteva essere per me il capitano Achab… Questo modo evoluto del godere dell’immagine, se possibile, mi piaceva anche di più del guardare le figure già disegnate nei fumetti illustrati.
Negli anni del boom economico, ancora ragazzetto, ebbi in regalo dai miei genitori, le mie prime macchinette fotografiche, le prime cineprese 8mm o Superotto. Imparai a stampare il Bianco&Nero, e così via. Con queste prime attrezzature sempre più evolute, appresi i rudimenti fondamentali dl fotografare e del filmare. Verso i 23 anni, smessa l’università, decisi di fare il fotografo di professione, evolvendomi dai primi soldi guadagnati a far foto alle corse dei cavalli, per arrivare a fare foto di moda, di teatro, e infine per cataloghi e calendari. Come la si chiamava allora, la cosiddetta “fotografia industriale e pubblicitaria”. Mi specializzai nelle foto di nautica, ma essendo sempre stato geograficamente lontano dai grandi poli industriali italiani, alla fine spaziai professionalmente lavorando per diverse realtà purché mi permettessero di guadagnarmi da vivere fotografando. Dopo un lungo momento di pausa in cui mi dedicai a tutt’altre cose, ritornai alla fotografia che avevo abbandonato come mestiere, decidendo di fare solamente mostre.
Ne ho fatte parecchie, sicuramente qualche decina, divertendomi.
Che tipo di fotografo sono.
Se consideriamo come fattore tipico e specifico della fotografia (ciò per intenderci che la differenzia dalla pittura) la capacità di cogliere e fermare l’attimo, io non mi posso definire un fotografo. Sono piuttosto un pittore “pigro” che usa la fotografia come tecnica più comoda per auto creare immagini pensate e preparate da me. Non faccio quasi mai istantanee, infatti prediligo lo still-life, o natura morta, ma ancor di più rielaborare opere e temi artistici con scopo equamente suddiviso fra il ludico ed il didattico. Con le mie immagini, mi rivolgo in genere al grande pubblico, del quale amo agevolare e stimolare la comprensione. E quando mi riesce, la soddisfazione ed il piacere che ne ricavo, non ha per me uguali in nessuna altra delle mie attività.

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