Morgese Giovanni
Silhouette etiche e strutture metalliche
La ricerca artistica di Giovanni Morgese è orientata da una spiritualità nuda, essenziale, francescana, radicale. Incarnata e svettante. “Pesante” e “leggera” insieme. Dolente e gioiosa. In sintesi: crocifissa e risorta. Segnata dalla materia povera (il legno e il ferro, in cui l’artista scava) e dal simbolo (in cui l’homo religiosus indaga).
Arte e vita si tuffano nello stesso mare, inverate dalla testimonianza. E non richiedono molte parole per manifestarsi. Vale piuttosto l’esperienza: a quante cadute e a quante rinascite avrà assistito Giovanni Morgese animando il laboratorio serigrafico della comunità terapeutica CASA, dove i fallimenti e le risurrezioni si moltiplicano da sempre negli “schiavi del buco”?
Ecco, allora, che accostare le silhouette e le strutture metalliche di Morgese è come entrare fiduciosi in una cattedrale; anzi nell’umanità traviata e redenta, cattedrale di Dio: varcata la soglia del luogo sacro, viene naturale segnarsi e… abbeverarsi a quote di cielo, smaltita la polvere e le morchie del vissuto.
Le figure artistiche di Morgese abitano uno spazio chiaramente liturgico, vale a dire essenzialmente simbolico, e vogliono aiutarci a fare “memoria e memoriale” della condizione umana, che fra cadute clamorose e singolari recuperi riesce a guadagnare la salvezza pur muovendo dalla precarietà e dal limite. Il sacro, con cui l’artista si confronta, non ha forse il compito di entrare nella precarietà umana per redimerla, santificarla e trascenderla?
La riflessione odierna implica un moto di dentro portentoso, proprio di chi desidera innalzare gli oceani dallo sprofondamento, e uno sguardo che vaga fulmineo dall’alfa all’omega, capace di abbracciare il tempo e lo spazio con tutti i segni del peccato e di speranza inclusi.
È frutto della maturità dell’artista, capace di superare tanto la deriva esistenziale contemporanea, quanto i sistemi valoriali edulcorati, generici, approssimativi, flebili, per riproporre – con le forme e il linguaggio della modernità – l’esigente novità cristologica del perdersi nell’esperienza eucaristica della croce come condizione per promuovere rinascite-risurrezioni effettive.
L’artista desidera così cogliere il senso ultimo della vita, e rappresentarlo. Le opere configurano la sua catechesi silente, gridata per immagini.
Nelle strutture metalliche c’è il mistero dell’incarnazione. È la premessa ontologica: l’Essere che entra nella storia per rigenerarla.
In Terra-cielo 2010, Rorate caeli 2010, Discesa 2011, Cielo-terra-acqua 2012, E mi vieni a cercare 2012, Innesto 2013, è rappresentata la «carriera di Dio: un abbassamento dopo l’altro. Da ricco che era, si è fatto povero, fino ad amare l’umanità e i poveri con viscere di misericordia» (don Tonino Bello).
Nelle silhouette etiche c’è la Persona, il travaglio della condizione umana (compresi i legacci del peccato e la trama del perdono, in Miserere 2010 e Spirale verticale 2011), il recupero della coscienza che ripesca chi, discendendo vorticosamente agli inferi, cerca occasioni di risalita (in Verticale 2010), e lo stupefacente ribaltamento dei segni di morte in esiti di vita (in Rinascita 2010 e Il seme 2010), e la pedagogia del rifiorire (dal grembo che rigenera, in Spirale verticale 2010, alla consapevolezza che l’intera opera di Dio è finalizzata all’uomo, in Corpo celeste 2010), fino al desiderio di un tuffo nell’infinito dallo scoglio del mondo così com’è (in Tensione 2012).
Dove sfocia questa ricerca etica, questo sentiero tracciato dall’amore sofferto, e dalla libertà, e dalla finitezza, e dall’inedito del risorgere?
Nell’impegno a promuovere un’umanità nuova. Pare significare l’artista con i mezzi di cui dispone, che sono veramente straordinari per modernità espressiva e coinvolgimento esistenziale.
L’umanità è il pane di cui abbiamo fame. L’acqua purificatrice in cui vorremmo immergerci. La tunica battesimale che desideriamo rivestire – anche se storicamente vulnerata e deturpata – per sentirci nuovamente “uomini”, riabilitati dalla grazia della figliolanza divina.
Renato Brucoli