Aggiunto il 29 apr 2025
Dal catalogo della mostra a Palazzo Diamanti, Ferrara 1983
L'impatto con le grandi tele di Daniele Masini, dense di rimandi colti,di metafore,di paradossi figurali spinti alla efferatezza del Grand Guignol,non suggerisce drammi o sconvolgi menti nello spettatore che non vada già per conto suo a caccia d incubi. La primo impressione che ne ho avuta è stato anzi, di ferma solennità, e di lontanante vertigine costruttiva: quasi che I' araldica un po' sconnessa d' un artiglio antico si fosse ali improvviso dilatata negli spazi d un enorme decoro a fresco, o nelle trame corrugate d' un arazzo annerito dai secoli. Son cose moderne non v' è dubbio, e si sente battere, al fondo, I' ultimissima stagione dei simboli. Ma tutto anche I' irritato turgore del fantastico - surreale caro agli amanti di grasse miscele alchemiche finisce per stemperarsi In una memoria d'antico,aulica nella sostanza e nella forma. Voglio dire che i mostri di Masìni rimandano, pur cosi incupiti, più all' immaginazione scenografica di Giulio Romano che non a quell' ibrido impasto fra Rimbaud e Jarry i cui umori son rifluiti nella attuale parapsicologia pittorica. E' proprio la sapienza della composizione, quella implacabile ragion spaziale che presiede alle grandi opere di Masini, a suggerire incanti e armonie anche laddove s'arrotano carni, luci e metalli o s' ingufiscono mezzi volti e barbe lebbrose. E' la limpidezza degli antichi bestiari e delle pagine di calcolatissimi malefizi, insomma, che ritorna nelle "oscure circostanze" e nelle "situazioni" che il pittore forlivese ci propone come metafore senza vero segreto e, vorrei dire, senza dramma. Non sembri, questo, un dettato paradossale. Magari con tutta altra intenzione,Andrea Brigliadori I' aveva già scritto laddove dice: "il dramma più forte che intende dire la pittura di Daniele Masini non è quello dello scontro e dell' urto, ma quello della suo falsificazione e del suo equivoco ". Esco dal campo della morale o passo a quello, a mè più congeniale, delle strutture e del linguaggio dell' immagine,che mi permetterò di leggere attraverso processi fatal- mente astrattivi, volutamente indifferenti alle provocazioni iconogratiche che qui persistono in gran copia. Ecco allora farsi chiara la trama della scrittura di Masini, raffinata anche quando è potente. distesa anche quando la tensione( non il dramma) è portata al massimo da questo lettore innamorato di Piero, Paolo Uccello e Caravaggio impastati nel gran crogiolo dei secoli d' oro della pittura spagnola: fino a Goya, naturalmente. Pittura colta, quindi, quella di Masini, e misuratissima. Ne sia riprova il fatto che quando lo spazio gli si riduce ed egli è costretto a rinserrare le sue figure nate per il tutto campo in ambiti troppo angusti (è il caso di molte opere di piccola e media misura) queste ci appaiono come
frammenti soffocati di un lavoro immaginato in grande, o pagine ritagliate sbadatamente da qualche trattato diabolico. Altra conferma potrà venire dall' esame di fogli preziosi in cui Masini costruisce, su carte d' antichi regesti, una sorta di meticolosa scrittura che deve molto, io credo, alle intuizioni grafiche della poesia visiva e al concettualismo. Non voglio dire, con questo, che Masini non possa essere annoverato fra i così detti 'fantastici '. Ma la sua fantasia vera è strutturale e la sua drammaticità è drammaticità delle tensioni formali assai più che non il risultato di oscuri sensi di colpa venuti a galleggiare nel presente fra carcasse putrefatte di ciclopi o d'armigeri medioevali rimesse in circolo come spauracchio per gli uomini dell'elettronica. Non credo che Masini sia così ingenuo. La sua pittura, del resto, è lì a dimostrarlo. Se poteva reggere, e reggeva benissimo, nelle sale del Premio Campigna accanto alle calcinate allegorie di Renata Boero o agli argenti gessosi dell' ultima Giosetta Fioroni, è evidente che in essa è la ragion strutturale a dominare ben oltre il velo delle diavolerie e delle metafore che intessono ilracconto.Su queste strutture anche il colore - a volte tetro, spesso squillante, in altri casi preziosamente sulfureo, sì da ricordare le tonalità dell' immagine elettronica - si distende come supporto formale. Proviamo ad immaginare che, in luogo delle scenografie truculenti, dei cavalli bardati in corazze d' acciaio, della ritorta silloge di elmi, drappi, schinieri e crani ad occhi sbarrati, il pittore avesse scelto - tenendo ferme le strutture - visioni angeliche o pacatamente solenni, seguendo la sua indubbia vocazione al monumentale. A mio avviso il risultato non cambierebbe, dal punto di vista della validità estetica del dipinto. Magari Masini uscirebbe dall' equivoco, restituendo all' arte il suo ruolo di aurea falsificazione del reale, di feticcio non più spaventoso ma adorabile e, perché no ?, piacevole oltre che bello.
Franco Solmi