Aggiunto il 10 feb 2013
Perché pittura e scultura si stringono in un amplesso sempre più gravido di implicazioni estetiche e linguistiche ed ibride abdicazioni? E' un fatto che oggi l'artista sia attratto da una manualità indiscreta per tutto ciò che è <<plastico>>, mescolando così, senza freni di purezza inibitrice, pittura, scultura e, non ultima, la stessa fotografia. Di conseguenza, assistiamo a un effluvio di materia che scorre nel senso della stratificazione, della promisquità delle tecniche, dell'esasperazione tonale del colore, in una parola dell'espressionismo affabulatorio dell'immagine o, per sentieri meno battuti, di un descrittivismo eccedente. La bidimenzionalità monolinguistica, a maggior ragione in seguito all'impatto dei nuovi media, parrebbe bandita definitivamente dal territorio della pittura quale canone <<anacronistico>>. Il percorso di Luigi Curcio, che qui approda alla prima verifica espositiva, ha respirato questi climi e ne ha frequentato, per breve tempo, qualche aspetto. Ha però poi scelto, in luogo delle mode inquietanti, l'introversione del rifiuto, la rinuncia alla bagarre post-concettuale. Là prevaleva la tensione dialettica tra energia e forma; qui si confermava, nell'arco di quasi un decennio di lavoro, il lirismo mistico dell'avvio che ha rapidamente condotto l'artista lontano dagli esistenzialistici interrogativi informali verso una più serena comprensione del bello, toccata dalla simmetria decorativa dell'arte estremo-orientale.
Reintrodurre profondità e spazio nei lavori ha significato, per Curcio, inanzi tutto concedersi il tempo di riflettere, di meditare, di spingere il più lontano possibile da sé l'idea e il materiale. Frutto di una lunga elaborazione, l'opera costituisce una sintesi di caligrafia e di natura: l'occhio percorre la via dello Zen, è interno a tutte le visioni possibili, misteriosa coincidenza dei nostri sentimenti più raffinati con la superficie su cui l'artista interviene assemblando veline cartacee ("ricordi da tempo immemorabile dimenticati che tornano alla memoria ricchi di un senso nuovo") e spargendovi i suoi colori. L'immagine oscilla dunque tra i modi dell'ingrandimento del particolare biologico e quelli della <<miniatura>> paesaggistica (atolli oceanici o esotici parchi), che schiaccia la frontalità dell'opera in una incombente veduta <<aerea>>.
E' come se una parte della poetica di Klee fosse stata prepotentemente trapiantata nella Stanza del té: nell'intima grazia architettonica e decorativa della Dimora della Fantasia (nota anche come Dimora del Vuoto e della Asimmetria), i <<seguaci dello Zen cercano una comunicazione diretta con la natura interiore della realtà>> (1) e considerano i suoi accessori esteriori degli ostacoli alla comprensione della bellezza. Nella grande relazione delle cose, infatti, l'atomo ha la medesima ricchezza dell'universo.
E ciò che è astratto e asimmetrico contiene, in nuce, la vera perfezione, delicata e incompleta nella luce soffusa del tempo.
(1) O. Kakuzo, Il libro del té, tr. it., Milano, 1978, p. 45.
Autore: Francesco Lodola
Arti visive - quindici giovani artisti
ottobre 1985 - giugno 1986
Unione culturake Franco Antonicelli
Palazzo Carignano Torino