Aggiunto il 31 ago 2003
ITALO TURRI "MONZON": LO SPAZIO ALTERATO
(di Francesco Giulio Farachi)
Italo Turri che si firmava “Monzon”. Italo Turri che si aggirava per le strade della sua città, Anagni, in una febbrile ricerca dei materiali, fisici ed ideali, per la sua pittura. Italo Turri che, a oltre dieci anni dalla morte, sempre più viene valutato e riconosciuto come uno dei “grandi” della pittura contemporanea. A questo “grande”, dunque, la Galleria Crispi dedica un’ampia personale, che si inaugurerà sabato 21 ottobre. Con il patrocinio di Regione Lazio, del Comune di Roma – I Municipio “Centro Storico”, della Provincia di Frosinone, del Comune di Frosinone, l’evento vuol essere un vero e proprio tributo all’opera di un artista che è stato rivoluzionario e coerente a se stesso, che ha vissuto l’Arte come assoluto scopo e modo di vita, che ha elaborato un linguaggio pittorico che dice insieme l’asprezza e la poesia dell’esistenza. Turri usava per dipingere materiali che erano avanzo e scarto di altre utilizzazioni, cartoni gettati, residui di impellicciature, smalti per l’edilizia e per le carrozzerie. Materiali, per la scelta dei quali il pittore si metteva in giro a frugare persino nei cassonetti dei rifiuti, e che in questa meticolosa cernita acquisivano un valore ed un significato nuovi di zecca: ciò che la società “normale” non vede che come rifiuto e scoria, anzi proprio perché è rifiuto e scoria, conserva l’essenza di libertà e fantasia, assorbe la realtà in maniera altra e alta, si arricchisce di un “aver già vissuto” che è sapienza di vita e anche muta e solitaria rivolta contro stereotipi e moralismi disumananti, diventa materiale per l’Arte. Nella materia rifiutata, Monzon traduce la propria scelta di volontaria emarginazione, di relegazione in una dimensione discosta dove è più facile capire, anche se rimane scontata la difficoltà ad esser capiti. La sua pittura, la pittura di Monzon, è fatta di gesto veloce, di tratti essenziali e minimi, di colori che nettamente definiscono forme, sfondi e soggetti, di atmosfere grevi di emozione, vibranti di violenta dolcezza. Descrive un mondo visto e sognato, di persone ed affetti, di luoghi e prigionie dell’anima, di animali e paure e istinti di libertà. È un mondo quotidiano, che dal quotidiano si distilla ed al quotidiano rapisce l’espressione, la forza, lo struggimento di intere esistenze e di piccoli, minuti momenti. È un mondo stralunato e poetico, tesoro prezioso scovato nella povertà e nella esclusione, fra i rimasugli di realtà gettati via e guardati con indifferenza. Come la sua vita, la vita di Turri pittore e null’altro che pittore. Italo Turri che si firmava “Monzon”.
-------------------------------------------------------------------------------------------
Italo Turri “Monzon”: la metafora della vita
(di Caterina Zonno)
Italo Turri “Monzon”, affermato artista scomparso, è apprezzato e stimato in tutto il mondo. La sua pittura , definita da alcuni critici la “poesia del quotidiano” , rimanda alla bellezza ed alla dolcezza degli affetti familiari, al calore delle amicizie, a figure e personaggi, a volte resi con ironia espressiva, che immaginiamo di vedere camminare e soffermarsi nelle piazze dei paesi, in un tempo passato. La purezza del segno grafico e l'effetto cromatico conferiscono al tempo stesso realismo ed evanescenza, suscitando atmosfere di rara poesia. La genialità di Italo Turri sta nel rappresentare su tela e con magia, non solo le persone e gli oggetti, ma le emozioni e le suggestioni da essi evocati, con forte carica espressiva e comunicativa. Il pittore-poeta Italo Turri rimanda ad un immaginario d'infanzia, denso di sogni, fantasie ed illusioni e per questo, osservando le sue tele, sembra di conoscerlo da sempre.
---------------------------------------------------------------------------------------------
ITALO TURRI MONZON
(di Carla Ferraris)
L’arte di Italo Turri-Monzon è pittura dialetticamente e segnicamente sintetica, primordiale, diacronica, concettuale…è pittura che si discosta totalmente dalla mimesis artistica tradizionale, ma è anzi essenzialmente deformante nella bidimensionalità delle composizioni e nell’impasto dei toni matericamente plasmati sul cartone. La semiotica del suo gesto pittorico è racchiusa in quelle forme approssimate nella mancanza di proporzione, in quella sovversione spaziale che è caratteristica di quest’arte simbolica più che povera. Monzon è accostabile ai grandi delle avanguardie novecentesche: egli è infatti surreale, metafisico, naif, dadaista, espressionista, cubista…La sua arte richiama i primi esperimenti plurimaterici picassiani nel riutilizzo di materiali tridimensionali derivanti dal quotidiano (cartoni, stracci), richiama gli esperimenti di Burri, l’espressionismo munchiano e la visione di Grosz, oltre che le raffigurazioni “capricciose” di Goya e quelle “allucinate” di Bosch. Ne “Le aristocratiche” appaiono evidenti tali richiami: figure umanizzate in riquadri geometrici che ne limitano lo spazio d’azione, inespressive, “chiuse” in sé stesse da neri bottoni verticalmente cuciti sui corpi conici (privi di arti), incapaci dunque di interagire e comunicare; figure allegoriche di una società altezzosa e stucchevole, da cui Turri si è allontanato auto-emarginandosi ai confini della propria realtà e sensibilità individuali. Le opere di questo artista non sono mai datate e diventano quindi il sunto, il resoconto di un vissuto artistico che ad oggi appare metastorico ed è quanto mai attuale e contemporaneo.
-----------------------------------------------------------------------------
ITALO TURRI: UN’ANIMA IMPRESSA SUL CARTONE
Un atteggiamento tra l’emarginazione e l’anticonformismo, uno spirito tra il “clochard” e il contestatore, un carattere tra il misantropo e il disincantato: ecco i connotati che, a prima vista, emergono scorrendo dapprima la vita venturosa e poi l’arte graffitica di Italo Turri, popolarmente chiamato anche “Monzon” per un’evidente reale analogia con il campione argentino che, come lui, fu un “combattente della vita”.
Addentrandoci, però, gradatamente nei meandri della sua personalità e della sua creatività ci si avvede di trovarci sempre più al cospetto di un uomo che – pur nella sua esistenza sofferta e controversa - ha lasciato, morendo prematuramente e quasi in silenzio un segno indelebile di alta umanità e di non comune talento artistico.
Grazie al riconoscente affetto della figlia Anna e del genero Magno, in virtù della stupefatta e sincera ammirazione di tutti quei concittadini che ebbero l’opportunità (oggi rara) di venire in possesso dei suoi “cartoni” e soprattutto per merito di esperti “talent-scout” dell’Arte Figurativa (e tra questi anche Vittorio Sgarbi) che ne intuirono, scoprirono e divulgavano le doti, Italo Turri è divenuto uno dei più improvvisi sorprendenti e clamorosi casi artistici di questi ultimi anni, assurgendo addirittura a protagonista e simbolo di una certa cultura - locale in particolare, esterna in generale - che da tempo non eccelleva più per prolificità, eclatanza ed originalità.
Tra coloro che hanno “riesumato” il Monzon pittore ad avvenuta scomparsa del Monzon uomo, il primo posto in assoluto spetta a Giuseppe Selvaggi, notevole figura di giornalista e critico oltre che poeta.Nel 1997 , su iniziativa dei familiari del Turri e con il patrocinio dei comuni di Anagni, Alatri , Fiuggi, Frosinone e della Provincia frusinate, Selvaggi ha pubblicato – presso l’editore Palombi di Roma – il volume “Monzon: vita e pittura di Italo Turri”.E’ stata la svolta per rivelare, ad anagnini e forestieri, l’altro vero volto di un uomo che tutti conobbero e considerarono solo come un “vinto” ed un “appartato”, alla stregua di quei personaggi intrisi di realismo decadente cari alla penna di Gogol, Dostojeweskij, Gorkj, Hugo, ma bene adatti anche al mondo avventuroso e “bestialesco” di London e Stevenson.
Selvaggi, con l’acume del critico nato, risale l’intero ecxursus esistenziale e creativo di Italo Turri, avvalendosi anche della sobria biografia esposta da Daniela Pesoli la quale – assai felicemente - descrive la parabola umana ed artistica del Turri come una tipica vita “on the road”.
Il critico paragona lo spirito e il comportamento di “Monzon” a quello del Santo d’Assisi, accomunando i due nella loro “fame” di vita: Francesco cercava con brama, ovunque, un pezzo di pane con cui sfamarsi; “Monzon”, “affamato di pittura”, svuotava cassettoni e bidoni di immondizie per ricavarne i cartoni su cui trasferire, in immagini e sensazioni, le effervescenze della sua anima.
Questi miseri cartoni diventavano opere compiute che costituivano una specie di sfida (la “sfida dei cartoni”) ed una sorta di reazione verso la società, il vivere comune, le istituzioni e i formalismi, dai quali egli, uomo e pittore “sui generis”, si sentiva distaccato ed estraniato.
Poi Selvaggi accosta Turri, pur nella sua genuina primitività creativa, a due “monumenti” dell’arte contemporanea: a Georges Rouault, grande maestro espressionista (e nel celebre “Cristo in croce”, squisita acqua-tinta su carta, ritengo ci sia molto dell’ ”humus”riproposto da Turri) e ad Alberto Burri, autentico predecessore di “Monzon”, che dal nulla di materiale usato recuperato riesce a far risorgere autentici capolavori di creatività e di espressione.
Selvaggi sostiene che Turri, “in regola contro le regole…vive ed opera con il coraggio dei santi e dell’arte” ed accosta i “segnucci” del pittore anagnino (allegorie di animali, di eventi, di donne, di luoghi) ai versi che aprono l’ “Ode all’Usignolo” di John Keats esaltanti l’euforia derivata dal bere che è un efficace stimolo alla creatività (che Monzon esprime con un netto e crudo “mo ci vò lu beve”): “Mi duole il cuore e i sensi un sonnolente/stupore tien quasi avessi alla mia sete/ cicuta offerto o un torbido nepente”.
Io oso accostare la pittura di Italo Turri,- spesso surreale, talvolta onirica, permeata da influssi naif e dada ma sempre fortemente realistica -, anche all’emotività di Munch, ai “capricci” di Goya, alle “caricature” di Daumier, alle “visioni” di Grotz ed alle “allucinazioni” di Jeronimus Bosch, in cui la commedia o la tragedia del vivere umano sono drammaticamente riproposte nelle soffuse fattispecie della satira dell’ironia e del grottesco.
Italo Turri è nato in febbraio. Tra i nati in questo mese pingue di genii e di menti straordinarie rientrano anche François Rabelais, Charles Dickens, Jules Verne, e James Joyce che, al pari di “Monzon”, hanno descritto e esaltato-tra il paradossale e l’umoristico, tra il tragico e il patetico, tra il reale e il misterioso-le vicende dei poveri, dei perseguitati, dei derelitti, degli umiliati, degli offesila di fuori della società apparentemente ricca ed opulenta ma da vizi e mali insiti. Questo mese, inoltre, fu chiamato dagli antichi Greci”Ametisthos”, cioè ametista: e che questo colore violaceo-scuro, soffuso di rauche ombre e di cupe tonalità, è la tinta che prevale sulle creazioni “su cartone”di Italo Turri.
Su miseri, consunti, deteriorati ed abbandonati pezzi di cartone Italo Turri è riuscito a ricostruire un intero mondo di sensazioni, di sentimenti, di stati d’animo, forse anche di sogni e di speranze. Questo mondo, oggi, è più vivo che mai. E con esso risalta sempre più cristallino il talento di Italo Turri detto “Monzon”, un genio dell’ “Arte Povera”, diventato ricco per stima e rispettato per elogi solo dopo la sua morte.
Nello Proia
----------------------------------------------------------------------
L’Arte e il Mistero
Turri Italo
La vita dentro l’opera tra simbolico e informale
di Donato Di Sepio
Nella storia di un artista, specie se articolata da eventi non comuni è culturalmente complessa.
La vita di un uomo è semplicissima, ma la vita di un filosofo, di un pittore, di uno scrittore, può diventare molto complessa se le sue opere non sono semplicemente “prodotti” di quella vita che anzi sono “essi” a produrla, nella sua realtà più profonda – come nel caso di Italo Turri – ha avuto il potere di mutare, di rendere la propria personalità simile a uno specchio di guisa.....vi si rifletta; “perchè un genio – afferma Marcel Proust – consiste nel ‘potere riflettente’ e non nella quantità intrinseca dello spettacolo riflesso”. Italo Turri, infatti, nel suo essere schivo, diffidente era un artista “strano”, e nel suo essere umile e solitario era un artista-poeta. “Strano perchè frustrato dall’incomprensione di una società che non riusciva a capire il perchè Turri si fosse autoemarginato, ridotto a vivere del disagio esistenziale. “Artista-poeta”, perchè guardare le sue opere è come leggere l’intensità poetica della sua arte. .....Per un uomo la cui vita è come una “Monade” (Leibniz), l’intuire figurativo aliena ogni contenuto ed esteriorità, e solo il sentimento lo mantiene in unità soggettiva con l’Io interno.....Quello che è formidabile in quest’artista, è appunto la grande forza emotiva, l’aver riportato emotività nell’arte. La sua è una conoscenza intima,”intelligere” è quasi un leggere dentro, “intus legere” cioè dotato di percezione distinta unita alla facoltà di riflettere l’oggetto dell’intuizione sensibile da ritrarre o comporre. La sua morte, il 9 Aprile 1995, se ha chiuso il capitolo della sua travagliata esistenza, non ha esaurito, per nostra fortuna, quello della sua pitura: come capita alle opere dei Grandi – sempre vive – attorno ad esse si parla, si critica, in esse si specchia un’epoca e le sue interpretazioni di periodi storici buoni o difficili e tutti da rivisitare. Se poi sia stato un divisionista, sperimentalista, informalpostimpressionista, simbolrealista, poco importa: ogni sua classificazione, per quanto infinita, appartiene alle epoche dell’uomo.
D.Di Sepio
----------------------------------------------------------------------
ITALO TURRI, L’EMOZIONE TRASMESSA
di Rocco Zani
I numerosi commenti critici elaborati sulla figura di Italo Turri tendono, fatalmente, a rimarcare - in maniera più o meno celata - una sorta di combattuto dualismo tra la privatezza della dimensione umana e la preponderanza della sua immagine artistica.
Che Italo Turri sia stato, nella sua tormentata esistenza, una personalità “anomala e contraddittoria”, è fuor di dubbio.Soprattutto se intendiamo attribuire a tale assersione un giudizio confinato tra le cosiddette “valenzie ordinarie”. D’altra parte, quella forma di “egocentrismo onirico” che ne ha accompagnato – e segnato – la vita, sembra alimentare, ancora oggi, nell’interlecutore abituale, un’attenzione colma di velate passioni. “L’anormalita” – intesa quale rappresentazione antitetica di modelli comportamentali regolamentati da un “sentire” comune appare pertanto, non già luogo dell’estraniamento, bensì forma – indiretta, ma accattivante – di partecipazione.
Ma la conoscenza di un artista – di Turri in particolare – pare inconciliabile con gli esili citazionismi tratti da letture déjà vu, ovvero, appare riduttivo e precario il tentativo di concentrare la ricerca su un piano di “urgenza folcloristica “ anziché di analisi peculiare del fenomeno. Occorre pertanto stabilire un opportuno parametro valutativo affinché la “contaminazione” reciproca delle –quella umana e quella artistica – trovi un ruolo di innegabile ed equilibrata sommatoria che restituisca a noi uno scenario di rigorosa interpretazione .
Ecco allora che il prologo di questa sequenza conoscitiva deve necessariamente collocarsi in quella “capacità di emozioni che l’opera di un artista riesce a trasmettere nonostante tempi e generazioni nuove” (Giuseppe Selvaggi). Un elemento, “l’emozione trasmessa”, che pare farsi sostanza ineludibile di un indagare più complesso e dilatato. Esso è epicentro di accensioni umorali e al contempo memoria intransigente. Una memoria millenaria o attuale che Turri traduce progressivamente in archetipi della ricordanza rifiutando – o ignorando forse – qualsiasi orpello esplicativo, come se la nutidà dell’opera favorisse – invece – più intime e personali ouvertures. E’ la memoria del quotidiano, quella del degrado o delle prospettive incaute che tagliano il cielo in distorte finestre di luci e ombre. Quella dei volti ignoti che “mozzano” il sogno e rifondono l’uomo – l’artista – di brandelli di dialogo. Ovvero la memoria remota, colma di provocatorie tonalità, di non sapute dimenticanze, di raffiorati dubbi. E paure.
L’uso “libertario” – in secondo luogo – di materiali inediti, rafforza e sottolinea quel desiderio neutrale della narrazione, restituendo all’immagine dipinda – scavata, graffiata, scoperta – l’oggettività dell’incarnazione. La campitura – sia essa tela o cartone o pietra o legno – è una sorta di “dilatato sostegno dell’idea”. O idea anch’essa.
Ecco perché Turri non è un “caso” di demopsicologia o di alienazione. E’ più semplicemente – e pertanto in maniera più complessa – un pittore:
Scrive Sabina Spada di Annette Messager : “l’utilizzo di diversi materiali, anche di scarto, provoca lo svuotamento del significato delle categorie di arte alta e arte bassa, portando aspetti della vita quotidiana all’interno della dimensione artistica”
Rocco Zani
----------------------------------------------------------------------