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Marcello Giannozzi

Ritorna alla lista Aggiunto il 14 mag 2005

Il battito del cuore nelle arcane figure di Marcello Giannozzi

POESIA UNIVERSALE

Il battito del cuore nelle arcane figure di Marcello Giannozzi.

Di Maurizio Vanni

L’uomo, prima di riconoscersi artista e di esprimersi cosciamente, agisce già in modo creativo; infatti plasma e dà forma a se stesso e al proprio mondo.
Nel bambino come nel primitivo l’esperimento figurativo che genera la forma è, nella sua totalità, un atto d’accrescimento dell’esistenza, d’interpretazione del mondo e dei propri bisogni psico-fisici ma non è legato a nessun’estetica.
Nelle sculture di Giannozzi la materia si cede di buon grado alle mani di un maestro che la fa rifiorire, ricca di levigate superfici e di strutture semplici dal vago sapore arcaico.
L’arte dello scultore fiorentino supera il contingente per acquisire e proiettarsi nell’atemporale misura dell’umano, laddove la materia, sembra svolgersi in volumi di compiuta essenzialità. Le sue opere sono pervase da grande forza e da tenero amore, eredi da un lato del sensualismo plastico di Rodin, dall’altro del concettualismo cerebrale e dall’audacia spirituale dello scultore russo-polacco Epstein. Le sue donne non si attraggono solo per il loro femminino, anzi, talvolta nelle sue opere ci affascina qualche particolare che non si omologa al resto dell’opera, che si distingue per una maggiore libertà esecutiva. Da questa sorta di sostanza artistica, solo apparentemente contraddittoria, si sprigiona improvviso, con un’indicibile finezza di modellato, di senso di una poesia universale, eterno fascino di una beltà solo suggerita, in cui si avverte però, nelle espressioni, quasi sognanti delle figure, il presentimento di un’ombra, di fatale destino.
Sono creature nate da una fitta tela d’emozioni che spesso ricamano intorno alle immagini. Un’urgenza di una situazione psicologica, affollata, quasi costruita dai troppi impulsi, forse quegli stessi che presiedono il momento della creazione delle sculture di Giannozzi.
Figure sedute, abbracciate, donne riflessive o inquisitrici, dolci volumi privi di spigoli che ci appaiano come placati da un interiore e segreto raccoglimento. E c’è qualcosa di sottilmente arcano legato al raggiungimento di una forma trovata e pienamente in sintonia con l’intenzione artistica, ma anche interiore stato di grazia che può essere raggiunto solo, quando il silenzio filtra nelle stanza dell’anima, quelle piccole emozioni di cézanniana memoria, pur sempre essenziali, che definiscono un dialogo soggettivo con il reale.
L’arte di Giannozzi, priva di premeditata memoria, è un tentativo di rappresentare il corpo umano nei suoi contenuti e nelle sue tensioni spirituale. La povertà dei gesti non sta significando un irrigidimento inanimato: la figura di “Silvana” possiede l’armonia e l’eleganza di una pianta che si flette, senza spezzarsi, al vento.
All’analisi minuziosa spesso egli oppone una sorta di rasserenamento, ma Giannozzi non tranquillizza la superficie, bensì il battito del cuore delle sue figure, arrivando a esprimere l’anelata tensione centrale di personaggi che già vivono dentro la materia.
Il suo racconto consola e parla al sentimento perché non ha la parola fredda e inumana degli intellettuali ma vive in un’atmosfera d’autentica e amorosa compassione umana.

Artmajeur

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