Aggiunto il 21 lug 2008
FERMATI IN QUESTO LUOGO DELL’ETERNA RICERCA
O NAVIGANTE OSPITE GRADITO
RICERCHIAMO INSIEME L’UOMO NUOVO
E IL PARADISO IN TERRA OLTRE CHE LASSU'
L’ANIMA ANELA L’INFINITO
TRA FERMATE E RIPARTENZE
CADUTE E RIALZATE
NEL MUTEVOLE CAMMINO
DI REALIZZATI E NO SOGNI E SPERANZE
RICERCA CON ME VALORI ETICI E MORALI
TRADIZIONI
SAGGEZZA ANTICA
VERITA’ ASSOLUTA
CHE SIANO
NOSTRE REGOLE DI VITA
CURRICULUM VITAE
Se dovessi definire me stesso, alla luce delle esperienze di questi anni,
incomincerei col dire “Antonio Randazzo, una vita per fare, vivere volendo e
dire facendo”.
Contadino mio padre, sarta la genitrice. Sono l’unico sopravvissuto della mia
famiglia, il terzo di quattro fratelli ed una sorella.
A sei anni nella bottega del costruttore di sedie, “don Iachinu” Nardone, in via
Gargallo, incominciai a conoscere ed amare il legno, subendone il fascino per
tutta la vita.
Da quello stesso anno 1946 al 1951 frequenza scuola elementare.
Dal 1951 al 1956 Scuola Statale D’Arte con frequenza del 5°, sezione
ebanisteria e saltuarie frequenze della sezione scultura nel legno.
In contemporanea, apprendista e giovane ebanista, restauratore di mobili
antichi nelle più note botteghe artigiane dei maestri Piccione, Antoci, Midolo,
Malfa e altri valenti falegnami, lavorai sempre.
Per la nota crisi dell’artigianato, nel 1960, dovetti cambiare attività, non
dimenticando quello che avevo nel sangue, “Impara l’arte e mettila da parte”.
Per rispondere, anche, alla chiamata di leva, nel 1960 mi arruolai nell’Arma dei
Carabinieri, ricevendo diversi attestati di stima e benemerenze e tanta
esperienza, prestandovi servizio fino al 1981.
Nel 1968 contrassi matrimonio e lo scorso luglio ho festeggiato il
trentasettesimo anniversario.
Dal 1981, per dieci anni, insieme alla moglie, catechista presso la Parrocchia di
Bosco Minniti, ho accompagnato gruppi di bambini dalla prima Comunione alla
Cresima.
Dicono che tutti nel corso della nostra vita abbiamo la nostra buona
occasione.Tanti la vedono passare lasciandosela sfuggire.
A quel tempo, non sapevo certo che quella fosse la possibilità offertami, perché
tutto avvenne casualmente.
Fui fortunato, lo confesso, ma le vie del Signore sono infinite.
Viene il giorno in cui bisogna fermarsi a riflettere e chiedersi: chi sono, dove
vado, cosa voglio?
Ho realizzato nel tempo quadri, mobili in vari stili, eclettici, intarsiati, scolpiti,
sempre in stile diverso, alla ricerca di una dimensione artistica o di qualcosa
che soddisfacesse la mia voglia di fare. Pur ottenendo risultati apprezzabili, non
ero soddisfatto. Lasciai tavolozza e pennelli e provai a scolpire il legno. Avevo
per le mani un pannello in noce antico, tarlato, che non avevo usato in
precedenza per realizzare qualcosa che dovevo.
Proprio per la sua quasi inutilità, mi cimentai, armato di scalpelli da falegname,
ad eseguire un bassorilievo copiando lo scudetto simbolo del Nucleo
Radiomobile Carabinieri, del quale a quel tempo facevo parte.(vedi foto elenco
scultura n.1)
Non è certo un’opera d’arte, ma questo mi appassionò tanto che incominciai a
procurarmi sgorbie e materiale di legno nelle diverse varietà. Alcune tavole di
noce ed una di gelso, le ebbi in regalo da amici del settore legname.
Realizzai la mia seconda opera, la n. 2 dell’elenco. Fu questa che m’indusse a
pormi la domanda. Dovevo proseguire su quella via verso gli ideali materiali che
mi proponevo a quel tempo, o avvicinarmi al Dio che non conoscevo, ma che
indicavano quale Creatore?
Da questa prima domanda scaturirono le scelte fondamentali della mia vita e
quindi il resto è stato consequenziale.
Sono cresciuto insieme alle mie opere intellettualmente e moralmente,
ponendomi obiettivi o ideali da raggiungere sempre più elevati.
Partendo dal materiale a disposizione mi sono chiesto cosa potessi realizzare.
Spesso una parola, una frase, un concetto teorico, segni di matita, materiale a
disposizione, nodi, protuberanze, spaccature, fradiciume da eliminare e tutta
una serie di considerazioni, hanno dato lo spunto.
Incominciare a lavorare subito e riflettere successivamente, in corso d’opera,
sulle cose che volevo realizzare e sui concetti che avrei voluto esprimere.
Il risultato finale mi ha sempre meravigliato, mentre ne traevo il significato, alla
luce delle mie esperienze pratiche, teoriche, ideali.
Non ho mai copiato. Tutto è frutto della mia fantasia, della memoria visiva e
tattile.
Ogni cosa rappresenta un momento storico, stato d’animo, tentazioni, scelte,
prese di posizioni, rifiuto di certe situazioni, analisi di fatti o notizie presenti e
passate registrate nella memoria, o semplici deduzioni.
Ogni opera può essere considerata un bozzetto, lo studio per la successiva, la
ricerca di tecniche o esperienze sempre nuove.
Mai ho preparato un disegno, realizzato un bozzetto, finalizzato all’esecuzione
dell’opera finale.
Io sono, perché mia moglie è, per quello che ho vissuto, per le conoscenze,
amicizie e situazioni, ma soprattutto, per l’educazione di base ricevuta dalla
famiglia e, quella acquisita nell’Arma dei Carabinieri.
Mai mi sono definito uno scultore o maestro, se non per esigenze linguistiche
nel presentare le richieste ai competenti organi amministrativi, così come non
sono uno scrittore o poeta, pur avendo scritto alcuni libri, il commento alla mia
“Via Lucis”, e tante poesie in vernacolo.
La pagina che scrissi nel libretto della “ Via, Lucis” è quanto mai veritiera.
A chi si trovasse a leggere il presente, auguro che non si lasci scappare la sua
occasione e, quindi, di fermarsi a riflettere sui veri valori ideali, in quest’epoca,
dove tutto è finalizzato al potere ed al possesso.
Mi definisco e posso considerarmi autodidatta e disdegno ogni accademismo.
La scelta d’elementi simbolici nelle mie opere è un tentativo di comunicare
immediatamente ed in modo chiaro, alla gente comune, valori che evidenziano
la realtà. Credo fermamente e spero nell’avvento di un mondo giusto e libero,
nel quale l’uomo, finalmente, giunca a quella perfezione cui è predestinato.
Antonio Randazzo
AD ANTONIO RANDAZZO: LO GNOMO DI ORTIGIA.
DA ALESSANDRO MUSCO
Artigiano del sogno: credo sia il modo più acconcio di avvicinarsi ad Antonio
Randazzo ed a ciò che le sue mani, la sua mente, il cuore…riescono a far
nascere dal niente, come fosse un incanto, come fosse una goccia di speranza,
flebile e dolcissima, rubata – per un attimo- al gran teatro della vita ed a tutti
quegli sperduti angolini che sono le tante trascuratezze, le tante dimenticanze
di cui riempiamo-troppo spesso- il gran vuoto della storia che ognuno di noi è.
Zattera in deriva o barca con nocchiero a man ferma, l’ognuno di noi che di se
stesso cerca di fare di essere persona, non può non sostare, in silenzio, a
godere di quanto Antonio Randazzo, artigiano del sogno, ci suggerisce: con
modi garbati, si, ma con la fermezza ed il passo sicuro di chi vive, beato la
certezza (e non la saccente sicumera) di vivere nel giusto. Di essere dislocato
in quel limite, ad un tempo sottile tanto quanto robusto, in cui la parola
dell’utopia si intreccia con la parola irripetibile della poesia, con la parola vestita
della scultura, con la parola piana e distesa del racconto, o del dialogo o della
favola, o dell’incisione… e così via lungo tutti i possibili percorsi del “dire” su cui
si inerpica Antonio Randazzo, artigiano del sogno.
Ed il sogno si fa vita vissuta: si attorciglia attorno alla speranza, di essa si
veste… e cammina per le vie del mondo, di quel mondo reale fantastico
insieme che è Ortigia.
Come l’incantesimo, in un bosco, in un bosco delle favole- per capirci- fa sentire
i suoi profumi tra i cespugli, le radici sconnesse, tra le fronde ed il loro fruscio,
tra i mille e mille suoni che accompagnano lo scricchiolio dei passi, fermi e
cadenzati, sulle foglie secche (tappeto di carezze per noi viandanti a caccia
sempre di qualcosa), così l’incantesimo di Ortigia fa sentire i suoi profumi tra i
crocicchi nascosti, le gocce di salsedine che umettano le labbra o la pelle
bagnata da umidi millenari, che quasi ti soffocano e ti abbracciano con
quell’affetto sì forte da sentire il cicaleccio delle ossa come fossero contate da
abili mani che scorrono su e giù su un flauto magico cui vengono dietro infinite,
infinite cose: in fila, muffolette ancora olezzanti di forno, uva passa sbrizzata di
zucchero, schegge di sole, ombre di vento, balconi fioriti, stridii e cigolii
d’imposte, di porte aperte e sbattute, foschie di scirocco e lucentezze del
ponente che gira, fino al maestrale che spazza, pulisce, ristora, riapre i discorsi
sulle gole riarse.
Ed è lì, tra tutto questo e tanto altro ancora, che improvvisamente, quasi fosse
un elfo del bosco, che sbuca lui: Antonio Randazzo, lo gnomo di Ortigia,
l’artigiano del sogno.
Spunta, spunta come la punta di una fiammella d’un cerino strusciato sul vento
e così, subito, acceso, con un puf!
E parla, attacca discorso, Antonio Randazzo, lo gnomo di Ortigia, l’artigiano del
sogno, come vi avesse appena lasciato lì da pochi minuti per poi riprendere ciò
di cui si parlava e, magari, invece sono passati tre giorni, o tre mesi, o tre anni o
tre millenni.
Non fa differenza, perché lo gnomo di Ortigia, in verità, parla per se stesso, per
il sogno che sta costruendo, come fosse una ciambella odorosissima d’olio
buono e zucchero caldo che fa da aureola di laica santità ad ogni testa che,
come lui, come Antonio, lo gnomo di Ortigia, riesce ancora ad avere gusto per il
sogno: per qualcosa in cui credere, per qualcosa che vale e per cui vale la pena
di incitare le pene della vita a sublimarsi nel racconto eterno della poesia,
dell’arte, della scultura. Così tira fuori dalla forma incoata e vuota del nulla, con
mani sagaci, mente arrufolata di profumi di bosco, lingua disciolta dal canto
odisseo dello scirocco antico, col cuore pulsante di sangue e passione d’un
amore fremente per tutto ciò che Sicilia è, e potrebbe ancora essere, e
potrebbe non essere, ma forse sarà o è o fu o tornerà ad essere (mescole
titaniche il cui olezzo è pari in intensità solo al siculo origano selvatico di mare
cotto al sole stanco dell’imbrunire) … così Antonio Randazzo, lo gnomo di
Ortigia, tira fuori le sue sculture oggetto del suo pensare, soggetto di tutto
quanto, questo artigiano del sogno, ci vuole dire ed è tantissimo: senza fine.
Come il suo ardore di vivere, il suo pathos, per ciò che vale, ciò che è giusto,
ciò che è bello, ciò che è, perché c’è. Perché è.
Antonio: non zittire mai le tue labbra e le tue mani, anche quando, frettolosi,
scappiamo perché le premure pressano il nostro passo.
Antonio: gnomo di Ortigia, non temere i nostri silenzi; spesso non capiamo,
perché non sappiamo più sognare. Aiutaci.
Accendi un altro cerino strusciandolo al vento.
Antonio: artigiano del sogno.
Insegnaci, ancora, ad essere, come te, matti per la vita ed un po’ pazzi
d’amore, magari un po’ tanto.
Ancora, di cuore: grazie!
ALESSANDRO MUSCO Ortigiano, da sempre e per sempre
Docente di filosofia medievale, Università di Palermo
DAL PRIMO BATTITO VITALE FINO ALL’ULTIMO RESPIRO
ANNOTAZIONI SENZA REGOLE DI PAOLO GIANSIRACUSA
Antonio Randazzo è un uomo libero, senza briglie e senza regole, non conosce
condizionamenti di sorta.
È libero come l’acqua che riempie gli alvei dei fiumi, come l’acqua che trabocca
dagli orli delle dighe, come l’acqua impetuosa che scorre verso il mare, nella
agognata immensità spaziale.
È libero come la lava incandescente, come il fuoco della materia eruttata dai
vulcani.
Anticonformista ferreo, passionale per vocazione, accompagna tutto il suo fare
con una creatività innata che lo porta a scolpire il legno e la pietra, il marmo più
duro e il metallo più duttile.
Sovente immerge tutto il suo essere nella materia colorata per lasciare impronte
dell’intimo, percorsi concreti del suo continuo, instancabile, impegno civile.
Modella e colora, scolpisce e incide senza alcuna regola che possa provenire
dalla storia e dagli uomini.
Sua sola maestra è la natura. Egli impara dalla pioggia e dal fuoco, dal sole e
dalla luna, dall’aurora e dal tramonto, dal bello e dal brutto, dalla terra e dal
mare, dai valori primordiali dell’uomo, dalle passioni più intime dell’essere.
Sentirlo parlare è come ascoltare il ribollire del mare nei giorni di tempesta.
Un’onda impetuosa, un fuoco incontenibile agitano il suo essere e si alimentano
di quella energia inesauribile che in lui è un misto di fede in Dio e di amore per
l’uomo.
Santi e ladroni, fame ed opulenza, forme astratte e figure riconoscibili, colori
selvaggi e intagli violenti, volumi gonfi di vita e sagome scavate dalla morte …
questo è il campionario di materia plastica e di colore volutamente assortito per
dire tutto a tutti, per sollecitare ognuno alle proprie responsabilità di uomo e di
cittadino.
Dall’alfa all’omega, dall’inizio alla fine, dal primo battito vitale fino all’ultimo
respiro: tutto l’intervallo dell’esistenza è luogo di scavo, di indagine, di analisi.
Antonio Randazzo usa tutti gli strumenti necessari ad indagare in maniera
profonda nelle viscere più intime della creatura umana. Ricorre spesso anche
alla poesia e alla prosa, alle liriche più taglienti e ai racconti più crudi e obiettivi.
Nel suo fare e nel suo dire non ci sono nascondimenti, tutto è chiaro e
incredibilmente vero. Le sue parole come una lama tagliente affondano nella
carne dell’esistenza e senza reticenze dicono, denunziano, progettano. Sì,
progettano, perché il fare di Randazzo non è sterile esibizionismo della parola e
delle forme. Ogni sua scultura e ogni sua poesia posseggono un messaggio
concreto, una proposta operativa.
La sua energia creativa non finisce la corsa nella pista dell’analisi, si spinge
verso altri sentieri, verso spazi operativi in cui si progetta il divenire, ciò che
sarà giusto e utile domani. Per tale ragione il suo procedere obiettivo attraversa
anche gli spazi del sogno. Sì, il sogno di un Eden fiorito di legalità e di rispetto
per l’uomo, di libertà e di giustizia. Un Eden dove non c’è la spada assassina,
dove non ha vita l’ipocrisia, dove non possono nascere i soprusi e le angherie.
Illuminato da Dio, tutto il suo percorso creativo si configura come una grande
preghiera, una poesia di fede caratterizzata dall’originalità e dalla purezza. Una
poesia che rifiuta i collegamenti con la storia e i codici stilistici dell’arte.
Il suo dire senza remore, il suo fare senza vincoli gli procurano spontanee
simpatie, amicizie imprevedibili di altri sognatori, di altri frequentatori dei luoghi
della libertà incondizionata.
Ciò gli da quella sicurezza operativa e quella luce di speranza di cui ogni
costruttore di pace e di sogni, di equilibri sociali e di spazi per l’espressione, ha
bisogno per agire.
A lui e al simpatico cenacolo di affinità elettive, che spontaneamente è fiorito
intorno al suo luogo libero, auguro voli senza impedimenti, sogni interminabili,
obiettivi concreti nella risposta civile.
Siracusa 9 settembre 2000
PAOLO GIANSIRACUSA
Ord. di Storia dell’Arte Acc. di Belle Arti Statale Catania
Soprintendente Artistico Acc. R. Gagliardi Siracusa
LUIGI AMATO
Di uomini liberi ormai ce ne sono pochi; più una società diventa complessa più
si è imprigionati sotto molteplici aspetti. Antonio Randazzo cerca di esserlo al
meglio fornendoci qualcosa d’importante su cui riflettere. Nell’ultimo lustro la
nostra provincia sembra vivere una sorta di piccolo Rinascimento culturale che
speriamo duri e si consolidi. Un cambiamento partito da tante iniziative di
talentuosi e coraggiosi individui, artisti, editori, scrittori e musicisti che non
hanno voluto rassegnarsi al declino di un’antica città e del suo altrettanto
importante circondario. Siamo comunque agl’inizi; pesano come macigni i
retaggi di un passato prossimo da dimenticare e le incognite di un presente,
dove il mancato sviluppo economico e il persistere di deprecate mentalità
possono vanificare ogni sforzo.
ARMI ED ARTI
È singolare come i luoghi comuni vengano spesso a cadere. È il caso di
Antonio Randazzo maresciallo dell’arma dei Carabinieri in pensione e valente
scultore con piacevoli sconfinamenti nella pittura e nella letteratura. Per la gente
comune sembrano due cose distanti, la storia ci ha insegnato il contrario. Io
personalmente ho conosciuto altri due militari-artisti: mio nonno, Alberto
Bassoni, generale del Genio, pittore di finissima tecnica e polemista veemente
dalle pagine del Borghese di Tedeschi e di Gianna Preda e Arno Baumcker,
obergefreiter del 32 battaglione corazzato di disciplina della Wehermacht (gli
stessi reparti descritti dal grande Sven Hassel nella sua straordinaria saga) poi
legionario in Indocina che aveva imparato in un campo di prigionia sovietico, da
un pope ortodosso detenuto con lui, le tecniche di decorazione delle icone,
dando vita ad uno stile grafico personalissimo. C’è qualcosa di ineffabile in
questi personaggi così diversi tra loro, ma accomunati da una ricerca artistica
ed interiore atipica e straordinaria.
I LUOGHI
Il laboratorio di Antonio Randazzo sorge nella parte alta di Siracusa, quella del
sacco edilizio, una città nuova senza capo né coda oppressa dalla bruttezza,
dal traffico e oggi anche da una crisi economica e d’identità che lascia ben
poche speranze alle giovani generazioni peraltro anch’esse, per colpe sia
chiaro, non solo loro, ma anche, svogliate e apatiche. Il segno di una ben
radicata antropologia negativa ereditata dalle loro famiglie. A Siracusa non ha
fallito solo il mondo politico, che pure ha macroscopiche responsabilità e di cui
si parla ormai male con facilità (eser-cizio diffuso e per altro sterile perché in
democrazia la politica è specchio della società), ma un’intera popolazione nella
sua articolazione. Ha fallito il mondo imprenditoriale, ha fallito la cultura, hanno
fallito le forze sociali, le istituzioni laiche e religiose di ogni tipo, ha fallito la
gente comune. Abbiamo tutti smarrito il senso di un’identità antica e nel
fallimento generale ci siamo autoassolti. Dalla bruttezza e dal caos possiamo
uscire attraverso l’arte, soprattutto